Già pronto il modello coreano. Parte l’assalto al Coronavirus

 

Abbandonare il modello Cina per approdare al modello Corea del Sud: è questa l’ultima tentazione dell’Italia dopo l’ennesima giornata nerissima, con quasi 5mila contagi da Covid-19 in più e 627 decessi.

Anzi: per essere più precisi il governo italiano potrebbe fondere l’approccio cinese, cioè quello basato sulla quarantena, con quello sudcoreano, incentrato invece su una minuziosa mappatura del territorio dei casi. Ma qual è la strada seguita da Seul? Due sono i pilastri sui quali si basa la strategia della Corea del Sud: tamponi a tappeto e monitoraggio dei cittadini mediante app e siti appositi.

Da questo punto di vista l’Italia starebbe pensando di copiare i sudcoreani iniziando ad utilizzare la tecnologia per tracciare i contagiati, anche quelli con sintomi lievi, e le persone con le quali questi soggetti erano entrati in contatto. Come spiega Repubblica, a Seul, infatti, ognuno dei quasi 9mila risultati positivi al test è stato “spiato” dalle autorità sanitarie coreane attraverso dati medici, gps dello smartphone, carte di credito e telecamere di sorveglianza.

In cosa consiste il modello sudcoreano

Incrociando tutti i dati, le autorità hanno mappato i luoghi toccati dagli infetti e rintracciato le persone che potevano essere entrate in contatto con il nuovo coronavirus. I cittadini a rischio sono quindi stati isolati per limitare la catena dei contagi.

Per quanto riguarda l’applicazione citata, aprendo la app ci troviamo di fronte a una sorta di mappa simile a quella della nota Google Maps. Sullo schermo si notano tre pallini di tre differenti colori. Se un edificio è contrassegnato da un cerchietto verde vuol dire che lì, dai 4 ai 9 giorni fa, è transitato un cittadino positivo al Covid-19; il colore giallo abbraccia invece una fascia più ridotta, che va dai 4 giorni alle 24 ore; il rosso è il massimo del pericolo, visto che qualcuno è passato da l’ meno di 24 ore fa. Controllando i propri smartphone, i sudcoreani possono così evitare i luoghi più a rischio.

Imitando la Corea del Sud, ad esempio, l’Italia avrebbe modo di realizzare tanti tamponi ma soltanto ai soggetti più a rischio, evitando di sprecare risorse preziose ed energie.

Pericoli e incertezze di successo

Nel frattempo Walter Ricciardi, consulente scientifico del ministro della Salute Roberto Speranza, ha le idee chiare: “Ci stiamo lavorando. Una volta risolti i problemi relativi alla privacy, penso con una legge ad hoc, siamo pronti a partire, perché dal punto di vista tecnologico abbiamo tutto ciò che occorre, a cominciare dagli operatori del settore che ci hanno offerto il massimo della collaborazione. Io ne farei una strategia nazionale e la applicherei anche alla Lombardia. La nostra curva si appiattirà per le misure di contenimento, ma assai più lentamente rispetto a quella coreana che si è stabilizzata a velocità supersonica. Se però noi attiviamo la stessa strategia di Seul possiamo accelerare”.

Certo, la sospensione della privacy, spiegano gli esperti, in casi del genere dovrebbe essere temporanea e limitata solo e soltanto all’emergenza in corso. Ma attenzione, perché non è tutto oro quel che luccica. I dati forniti dal Korea Centers for Sisease Control and Prevention, aggiornati con l’ultimo bollettino di venerdì 20 marzo, indicano 147 nuovi casi rispetto agli 87 di giovedì. Il motivo di una simile impennata è da ricollegare alla nascita di nuovi focolai di infezione: uno in un call center di Seul e uno in un ospedale della città di Daegu.

Le autorità sudcoreane hanno imposto nuove misure per stroncare sul nascere possibili ricadute, invitando alla chiusura delle strutture che ospitano funzioni religiose ed eventi sportivi o di intrattenimento e raccomandando ai cittadini di rispettare le misure di distanziamento sociale per i prossimi 15 giorni. Qualsiasi assembramento, hanno spiegato da Seul, verrà disperso dalla polizia.

Fonte: ilgiornale.it