Fondi russi alla Lega, Savoini indagato per corruzione internazionale

«Tutto ciò che è oltre il quattro per cento, noi non ne abbiamo bisogno, perché abbiamo stabilito che con il quattro per cento noi siamo a posto». A parlare nel salone riccamente arredato del lussuoso e storico hotel Metropol di Mosca è uno dei tre italiani che il 18 ottobre scorso partecipano con altrettanti russi a quello che sembra solo un normale incontro d’affari, ma che invece la Procura di Milano sospetta essere il momento centrale di un’operazione di corruzione internazionaleparallela all’importazione in Italia di un fiume di petrolio che, nelle parole di chi sta trattando, in un anno dovrebbe far affluire 65 milioni di dollari nelle casse della Lega e permettere così al partito di Salvini di affrontare la campagna delle ultime elezioni europee.

Come pubblici ufficiali
Sul registro degli indagati finisce Gianluca Savoini. Stretto collaboratore di Matteo Salvini e referente dell’associazione Lombardia-Russia. È accusato di avere quantomeno promesso (tanto è sufficiente per configurare il reato di corruzione) una corposa tangente ai tre russi i quali, evidentemente, vengono ritenuti dei pubblici ufficiali nell’inchiesta dei pm milanesi Gaetano Ruta e Sergio Spadaro, coordinata dall’aggiunto Fabio De Pasquale.Agli atti dell’indagine, aperta nei mesi scorsi dopo le prime rivelazioni sul caso fatte a febbraio dal settimanale l’Espresso, ci sono la registrazione del colloquio tra i sei, pubblicata ieri dal sito americano BuzzFeed, alcune foto dei partecipanti e i primi accertamenti eseguiti dagli uomini della Guardia di Finanza di Milano.

Lo sconto sul petrolio
L’ipotesi iniziale dell’accusa si basa sulla trascrizione della registrazione. In essa, i sei dicono che i loro rispettivi «amici politici», italiani e russi, si sarebbero messi d’accordo per far arrivare in Italia 300 milioni di tonnellate di petrolio, 250 mila al mese, a prezzo di favore. Il petrolio, sembra di capire dai discorsi, verrebbe venduto scontato da una società pubblica russa per essere acquistato, con l’intervento di una banca d’affari internazionale, da una o da due società intermediarie e poi rivenduto all’Eni a prezzo pieno. Il guadagno per gli intermediari si aggirerebbe, secondo i calcoli del sito americano, intorno ai 65 milioni di dollari che dovrebbero entrare nei forzieri della Lega. La società del cane a sei zampe, però, «ribadisce con fermezza di non aver preso parte in alcun modo a operazioni» di finanziamento di partiti.

Salvini: «Savoini parla per sè»
Nel caso in cui i funzionari pubblici russi riuscissero a strappare uno sconto maggiore, intascherebbero la differenza. «Se lo sconto arriva al dieci, il sei per cento è vostro», spiega colui che BuzzFeed indica come «Italiano 2», persona non identificata al pari di «Italiano 1». L’unico partecipante al quale viene dato nome e cognome, infatti, è Gianluca Savoini, degli altri due si capisce dai colloqui solo che si chiamano Luca e Francesco. È da questa trattativa che scatta l’accusa di corruzione internazionale nella quale, quindi, Savoini viene individuato dai pm come uno degli ipotetici garanti della tangente promessa ai funzionari russi. Prende le distanze il vice premier Matteo Salvini il quale, a chi gli domanda quale ruolo ha Savoini nel Carroccio, risponde: «Chiedetelo a lui, parla a nome suo. Per me è ridicolo quello che ho letto suo giornali».

Testimoni interrogati
Al momento i magistrati milanesi non sembrano ipotizzare il reato di finanziamento illecito dei partiti. Le indagini non sono ancora al punto di stabilire se l’affare milionario si sia concluso o se, ciò che è stato descritto nell’incontro al Metropol di Mosca, soldi per la Lega compresi, sia stato un progetto che non si è mai realizzato. Intanto hanno cominciato ad interrogare i primi testimoni. «Stiamo facendo accertamenti per capire se ci siano reati o meno», assicura il procuratore.