Fiumicino, la rabbia dei ristoratori contagiati dal lavoratore benganese: “Ora si indaghi per epidemia colposa”

“Abbiamo presentato una denuncia querela per epidemia colposa, chiedendo alla procura di Civitavecchia se sono stati applicati correttamente i protocolli ma soprattutto se questi protocolli possano essere ritenuti idonei rispetto all’ingresso di cittadini da Paesi a rischio”. È determinato a vederci chiaro l’avvocato Massimiliano Gabrielli, rappresentante legale dei proprietari del bistrot Indispensa, dove lavorava come lavapiatti il cittadino bengalese risultato positivo al Covid-19.

Il virus ha fatto il suo ingresso nelle cucine del ristorante dopo un lungo viaggio. È partito dalla capitale del Bangladesh, Dacca, atterrando all’aeroporto di Fiumicino dopo uno scalo a Doha. Viaggiava assieme ad una famiglia bengalese a cui era stato raccomandato l’isolamento. I tre, marito, moglie e un figlio piccolo, però, si sono trasferiti in un appartamento del centro di Fiumicino assieme ad altri connazionali. Lo stesso in cui viveva anche il lavapiatti.

È proprio in quell’alloggio che è avvenuto il contagio. Il dipendente, ignaro di aver contratto il virus, ha continuato ad andare al lavoro e il 22 giugno si è persino presentato all’ambasciata del Bangladesh per sbrigare delle pratiche amministrative. La scoperta della sua positività risale allo scorso venerdì quando, dopo un malore, è stato ricoverato all’ospedale Grassi di Ostia e sottoposto al tampone. E così sulla città di Fiumicino si è acceso un faro.

L’indagine epidemiologica rivela che i titolari di Indispensa, due ragazzi sulla trentina, e tre dipendenti sono stati contagiati. Entrambe le attività gestite dai due soci vengono chiuse. È l’inizio di un incubo. “I miei assistiti si trovano in quarantena nelle loro case, per fortuna si sono ammalati in forma lieve, ma sono comprensibilmente scossi”, racconta il legale. Scossi e amareggiati. Non è difficile immaginare quali siano le ragioni.

Dopo mesi di stop obbligato dalla pandemia, i due imprenditori stavano cercando di rimettersi in piedi nonostante le tante limitazioni imposte dai protocolli sanitari. “La sensazione – continua l’avvocato – è che si stiano usando due pesi e due misure: gli imprenditori sono tenuti ad osservare regole severe e rischiano sanzioni pesantissime, mentre per chi arriva da Paesi a rischio come il Bangladesh i controlli appaiono decisamente più morbidi”. Non è un segreto che il Paese asiatico sia attualmente uno dei più colpiti dal Covid-19, dopo Brasile e Stati Uniti.

La drammaticità del quadro pandemico, aggravata dall’inerzia delle autorità locali, è stata recentemente denunciata dal presidente dell’associazione Italbangla Mohamed Taifur Rahman Shah. “Il governo del Bangladesh – ha spiegato il rappresentante della comunità bengalese in Italia ad AdnKronos – è irresponsabile e non riesce a dare risposte: non ci sono tutele per la salute, cure mediche, è il far west. Anche per questo qualcuno cerca di fuggire. Il governo non riesce a controllare chi parte, siamo preoccupati”.

Sulla necessità di “aumentare i controlli sui voli internazionali” si è espresso anche l’assessore alla Sanità del Lazio Alessio D’Amato. “Siamo usciti dall’emergenza sanitaria con grande fatica, lasciare le porte spalancate a chi viene da Paesi a rischio come il Bangladesh mi pare una follia”, ragiona Gabrielli. Il consigliere comunale della Lega Vincenzo D’Intino chiede una revisione dei protocolli di sanitari: “È palese che in questo caso non abbiano funzionato”.

“Le autorità – continua D’Intino – devono accertarsi che le persone che arrivano dalle nazioni in cui il virus si sta diffondendo a macchia d’olio osservino l’isolamento di due settimane e non vaghino per il territorio con il rischio di accendere pericolosi focolai epidemici”. L’invito è a fare presto. “Se non si corre ai ripari – ragiona – la situazione rischia di sfuggirci di mano, soprattutto con l’intensificarsi degli arrivi dei tanti lavoratori stagionali che sono impegnati in diversi settori della nostra economia”.

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