Vittorio Feltri: “Gianluigi Paragone, espulso di successo. Dopo il giornalismo ha ceduto all’incanto stellato”
Gianluigi Paragone è stato espulso dal M5S causa indisciplina, quasi fosse un alunno della scuola secondaria. Ma la cosa non mi stupisce come non dovrebbe stupire il senatore cacciato. Costui quando si inserì nel bordello cinquestelle non credo si aspettasse di entrare nel Rotary. Immagino sapesse che il capo politico era Gigino Di Maio, cioè un ex bibitaro catapultato al vertice di un movimento fondato sul vaffanc*** coniato quale slogan raffinato da Beppe Grillo, un simpaticone che sta alla politica come io sto alla musica da camera.
Paragone, secondo me, si rassegnò ad essere cooptato dalle truppe pentastellate perché non aveva niente di meglio da fare, essendo uscito dal giornalismo dopo numerose traversie. Deve aver pensato: meglio parlamentare che disoccupato. Come dargli torto? All’inizio dell’avventura egli si divertì molto. Visse probabilmente il cambiamento professionale quale eccitante opportunità. D’altra parte il Palazzo attira non tutti ma quasi. L’ Aula affascina sia le persone semplici quanto quelle complicate. Cosicché Gianluigi si accomodò in poltrona e si persuase di essere presto promosso alla presidenza della commissione “scandali bancari”. Era pronto e felice di essere chiamato a ricoprire un incarico assai importante, foriero di pubblicità, cioè di visibilità. Poi il clima intorno a lui mutò. Da ballerino di prima fila retrocesse nella zona oscura del palcoscenico.
Il suo umore fatalmente smise di essere scintillante, si oscurò lentamente fino a diventare nero. Cominciò a bisticciare con i colleghi, si accorse che Di Maio è bravo soltanto quando recita nel ruolo di fanfarone e rapidamente si stufò di averci a che fare. A forza di tirare la corda, questa si è spezzata ed è arrivato per il povero Paragone il cartellino rosso. Fuori dalle palle. E di palle i grillini se ne intendono, visto che ne inventano una al dì. Basta. Il mio ex collega per non aver approvato la legge di bilancio è stato scaricato, considerato un Giuda.
Egli ora è inviperito e non si esclude che ricorra, con l’aiuto di Di Battista (che conosco solo di cattiva fama), perfino alla giustizia ordinaria onde impugnare il provvedimento a suo carico. Vedremo in qual maniera finirà. Ma non è questo il punto. L’errore di Gianluigi è stato quello di aver ceduto all’incanto stellato, scambiandolo come un firmamento salvifico, non accorgendosi che si trattava di una cloaca piena di escrementi.
Egli è stato per anni un giornalista esperto. Fu direttore della Padania, quotidiano leghista quanto lui. Il suo lavoro al timone del foglio e le sue comparsate televisive erano convincenti, cosicché mi venne l’ idea di assumerlo a Libero in veste di vicedirettore. Lavorammo insieme per un lungo periodo. Ciononostante al ragazzo evidentemente non bastava di stare accanto a me, brigò con l’aiuto della Lega per avere un posto in Rai, e lo ottenne. Contento lui…
Qualche tempo dopo, insoddisfatto del trono offertogli dall’ex monopolio televisivo, si trasferì alla “7” di Urbano Cairo, che gli affidò programmi di relativo ma non straripante successo. E l’editore, forse precipitosamente, lo invitò a guadagnare l’uscita. Gianluigi si trovò a piedi in mezzo alla strada, posizione antipatica, e si cercò qualcosa di meglio. Collaborò con Libero ricevendo un compenso insufficiente per sopravvivere, finché colse al volo la possibilità di scendere dal Carroccio e di inserirsi nel bordello promettente, in apparenza, di Di Maio, con il quale per mesi ebbe un rapporto quasi fraterno. In effetti i due andavano d’ accordo. Eppure l’idillio – lo dimostrano gli ultimi fatti – durò lo spazio di alcuni mesi.
Ora siamo alla rottura. Totale. Girano i coltelli che ammazzano anche i fratelli, figuriamoci i compagni di partito. Paragone a essere sinceri ha molte ragioni, però anche un torto marcio: quello di essersi fidato di un magliaro. Faceva bene a restare nella Lega, la quale abbonda di persone serie e perbene.
di Vittorio Feltri