Coronavirus, morto a 92 anni Vittorio Gregotti

All’età di 92 anni è morto questa mattina, domenica 15 marzo, Vittorio Gregotti, grande architetto, urbanista e teorico dell’architettura.

Secondo quanto riferito dal Corriere della Sera, Gregotti era ricoverato presso la clinica San Giuseppe di Milano in seguito alle conseguenze di una polmonite provocata dal nuovo coronavirus. Era nato il 10 agosto 1927 e il suo ultimo lavoro è stato quello di ristrutturare il Teatro Fonderia Leopolda di Follonica per trasformarlo da ex fabbrica a teatro.

Numerosi i progetti di Gregotti, autore di una carriera ricca di premi e soddisfazioni. Tra i suoi lavori citiamo gli stadi di Barcellona e Genova, oltre al quartiere Zen di Palermo e al Teatro degli Arcimboldi di Milano.

Una carriera ricca di successi

Il curriculum di Gregotti presenta anche moltissimi altri lavori, tra cui l’ampliamento del museo di arte moderna e contemporanea dell’Accademia Carrara a Bergamo, l’acquario municipale Cestoni di Livorno, il ponte sul Savio a Cesena. E ancora: la progettazione del quartiere di Pujiang, a Shnaghai, il nuovo edificio universitario alla Bicocca, a Milano e la facoltà di Medicina della Federico II a Napoli.

Gregotti, al quale è stata conferita la medaglia d’oro alla carriera nel 2012 dalla Triennale di Milano, era un appassionato di cultura a 360 gradi: dalla musica alla lirica passando per l’arte figurativa.

In uno dei suoi ultimi interventi pubblicati sulle pagine del Corriere, l’architetto sottolineava la sua visione dell’architettura come elemento centrale in grado di mettere ordine nella modernità: “L’ideologia della globalizzazione della cultura come unificazione solo economica e supertecnica (cioè verso la fine della modernità) sembra nei nostri anni fatale e vincente, con la deformazione mercantile che la alimenta, per mezzo di una travolgente comunicazione persuasiva immateriale, le dipendenze dal sistema dei poteri finanziari, con il tramonto dell’era industriale e delle relative organizzazioni sociali e culturali”.

“Tutto questo – concludeva Gregotti – ha un’influenza decisiva sui modi di costruire e di utilizzare le arti e sui modi di pensare alla combinazione tra originalità formale fintamente soggettiva e provvisorietà come fondamento di ogni successo visuale globale. In particolare, tutto questo muove proprio contro l’architettura che, tra le pratiche artistiche, è quella in cui la dialettica con l’eteronomia delle condizioni è materiale indispensabile, ma nello stesso tempo anche invadente, nel farsi del progetto e l’autonomia di chi cerca di riscoprire il terreno di qualche verità del nostro fare”.