“Assassini, vergogna! Come fate a dormire stanotte?” Omicidio Mollicone, i Mottola hanno rischiato di essere linciati dalla gente dopo la proclamazione della sentenza che li ha assolti

Processo Mollicone, tutti non colpevoli, l’intera famiglia del maresciallo tira un sospiro di sollievo. Gi imputati per l’omicidio di Serena sono stati assolti dall’accusa di omicidio volontario per non aver commesso il fatto. È la decisione, per certi versi inattesa e clamorosa, della corte d’Assise di Cassino, dopo otto ore di camera di consiglio e una lunga giornata di attesa e di tensione.

Immediata tra il pubblico, in aula, lungo i corridoi e all’esterno del palazzo di giustizia, è scoppiata la rivolta. «Vergogna!», hanno urlato molti, mentre i Mottola, padre, figlio e moglie, e gli altri due imputati, venivano portati via, per sottrarli a un possibile linciaggio. Gli ex imputati sono stati costretti a rifugiarsi dentro un bar, protetti dalle forze dell’ordine.

Il caos è scoppiato dopo che la folla inferocita aveva atteso i Mottola all’uscita dal tribunale, nonostante i carabinieri li avessero fatti attendere oltre un quarto d’ora all’interno. Il maresciallo e suo figlio sono stati inseguiti da urla, insulti e minacce, accerchiati e costretti a rifugiarsi in un bar protetti dalle forze dell’ordine: “Assassini, vergogna… Come fate a dormire stanotte?”. Il figlio del brigadiere Tuzi è quasi arrivato alle mani con un avvocato, mentre la sorella Maria inseguiva il brigadiere Suprano: “Diì la verità, come ha fatto mio padre”. Ins erata la stessa Maria postava su Fb una frase. «Una sentenza non in mio nome e non in nome del popolo italiano».

È l’esito di un processo atteso 21 anni, durato 50 udienze e nel quale sono stati ascoltati 137 testimoni. La procura aveva chiesto 30 anni per Franco Mottola, 24 per il figlio Marco e 21 per la moglie Anna Maria, tutti accusati di omicidio volontario. La richiesta di pena maggiore per il 66enne ex comandante della stazione dei carabinieri era motivata dai suoi «spiccatissimi» obblighi di garanzia che aveva nei confronti della 18enne, non solo perché era in casa sua, ma anche e soprattutto in virtù del suo ruolo di membro delle forze dell’ordine. Alla sola signora Anna Maria, 61 anni, venivano riconosciute le attenuanti generiche che venivano invece escluse per il 40enne Marco.

Ma il verdetto ha ribaltato le previsioni. L’avvocato Dario De Santis, che rappresentava il padre di Serena: «Un momento buio per lo Stato che dopo 21 anni non arriva alla riuscita, un ulteriore patimento per Serena. Solo la morte ha risparmiato a Guglielmo quest’altro dolore”. Soddisfatti e sollevati gli imputati. Il maresciallo Franco Mottola ha commentato: «Abbiamo sempre detto di essere innocenti e oggi a maggior ragione lo ripetiamo». Suo figlio Marco, sulla stessa linea: “La verità è venuta fuori, non spetta a noi dire chi ha ucciso Serena».

 

In aula c’erano anche i genitori di Marco Vannini, il 21enne di Ladispoli, ferito accidentalmente e lasciato morire in casa dalla famiglia della sua fidanzata nel 2015. Per quella vicenda l’intera famiglia Ciontoli (padre, madre e due figli) è stata condannata in via definitiva: «Era doveroso per noi essere qui, siamo diventati un po’ il simbolo della giustizia italiana perché noi giustizia l’abbiamo avuta e lo stesso meritano Serena e suo padre Guglielmo. I due casi, come detto dal pm, sono simili», ha commentato la mamma , Marina Conte, col marito Valerio.

Secondo la ricostruzione dei pm Beatrice Siravo e Carmen Fusco alla quale la Corte d’Assise non ha creduto, a sbattere la testa di Serena contro una porta dell’alloggio in uso alla famiglia Mottola all’interno della caserma era stato il figlio, mentre il padre aveva diretto le operazioni successive, soffocando la 18enne in agonia da ore e poi commissionando alla moglie il confezionamento minuzioso del suo cadavere. Assieme a lei, era la tesi accusatoria, lo aveva poi portato nel bosco di Anitrella la notte stessa, dedicandosi poi a una meticolosa operazione di depistaggio. Il vice maresciallo Vincenzo Quatrale era a processo per concorso esterno in omicidio perché avrebbe sentito i rumori dell’uccisione senza fare nulla per impedirla e rispondeva inoltre dell’istigazione al suicidio del brigadiere Santino Tuzi, riqualificato dalla procura in omicidio colposo nel corso della requisitoria (già prescritto): per lui la pena richiesta era di 15 anni. Un altro carabiniere della caserma, Francesco Suprano, rispondeva di favoreggiamento per aver nascosto la porta del delitto (quattro anni la richiesta).

Serena scompare la mattina dell’1 giugno 2001 e viene ritrovata dopo 48 ore in un bosco poco fuori Arce. Si fanno tante ipotesi ma mancano elementi concreti. Nel 2003 viene arrestato il carrozziere Carmine Belli che nel 2004 viene assolto con formula piena in primo e secondo grado. Per anni le indagini restano inconcludenti fino al 2011 quando la procura iscrive formalmente la famiglia Mottola tra gli indagati chiedendone però presto l’archiviazione nel 2015 per mancanza di prove.

È l’opposizione del padre di Serena, Guglielmo, a convincere il gip a disporre nuove indagini, valorizzando la testimonianza di Tuzi sull’ingresso di Serena in caserma quella mattina e nell’ipotesi che proprio lì sia stata uccisa. Nel 2016 venne riesumata la salma per sottoporla a nuovi accertamenti tecnico -scientifici sui quali si basa l’accusa, per la quale anche l’Arma dei carabinieri si è costituita parte civile. Guglielmo Mollicone muore il 31 maggio del 2020 alla vigilia del diciannovesimo anniversario della morte della figlia e due mesi prima del rinvio a giudizio degli imputati. Il processo comincia il 19 marzo di un anno dopo fino all’epilogo di oggi.