ALESSIA PIFFERI, LA MALATTIA DI CUI SOFFRE CHE LA SPINTA AL GESTO ESTREMO

La piccola Diana è morta di stenti. Questo quello che è emerso dall’esame autoptico, effettuato ieri, 26 luglio, sul corpo della piccola, anche se ulteriori e più precisi dettagli verranno riportati dai medici nella relazione che verrà depositata tra qualche settimana.

La bimba, di soli 18 mesi, è stata lasciata dalla madre, la 37enne Alessia Pifferi, da sola, in casa, in un monolocale di via Parea, a Milano, mentre lei per 6 giorni si è recata a casa del nuovo compagno, elettricista 58enne di Leffe.

Prima di chiudere la porta dell’abitazione, ha posto la piccola in un lettino da campeggio con accanto un biberon con il latte, quello che avrebbe dovuto tenerla in vita, per 6 giorni.

Una storia dell’orrore, attorno al quale gravitano altri interrogativi cui si troverà risposta con l’esito degli esami tossicologici sui residui di latte, contenuti nel biberon. Il sospetto è che la bambina, per evitare di urlare, di piangere per la fame e la sete, sia stata sedata con alcune gocce di En, ansiolitico la cui boccetta quasi vuota è stata trovata in casa.

Il che renderebbe tutto il quadro, già di per sé atroce, ancora più drammatico, ancora più orrendo. Quanto questa piccola martire ha dovuto sopportare prima del decesso, avvenuto, circa 2 giorni prima del ritrovamento?

Intanto la Pifferi è nel carcere di San vittore, sorvegliata a vista, in isolamento, per paura che possa compiere atti autolesionistici, arrivando al suicidio o che possa subire aggressioni da parte delle altre detenute.  La notizia, giunta proprio in queste ore, è che gli avvocati difensori Luca D’Auria e Solange Marchignoli hanno deciso di sottoporre la Pifferi ad una consulenza psichiatrica.

L’incarico è stato affidato ai professori Giuseppe Sartori, ordinario di Neuropsicologia forense e Neuroscienze cognitive all’Università di Padova, e a Pietro Pietrini, ordinario di Biochimica clinica e Biologia molecolare clinica all’Università di Pisa. Si tratta di nomi illustri, che si sono occupati della strage di Erba, compiuta dai coniugi Olindo Romano e Angela Rosa Bazzi, che uccisero a colpi di coltello e spranga Raffaella Castagna, il figlio Youssef Marzouk, la madre Paola Galli e la vicina di casa Valeria Cherubini, oltre a sgozzare il cane l’11 dicembre 2006.

Il gip Fabrizio Felice, che ha firmato l’ordinanza, ritiene che la 37enne sia pericolosa perché potrebbe commettere altri reati “di tipo violento e persecutorio”. Per questi motivi, è scattata la richiesta di custodia cautelare in carcere. Il giudice, con dovizia di particolari, ha spiegato che la Pifferi non ha solo accettato il rischio che la povera bambina morisse, ma “pur non perseguendolo come suo scopo finale, alternativamente” lo ha voluto.

Questo sarebbe emerso da varie dichiarazioni, fatte dalla Pifferi nel corso del interrogatorio, in cui ci sono anche allusioni “all’orgoglio di non chiedere aiuto alla sorella”, che, se solo fosse stata avvisata, avrebbe potuto salvare la piccola. La donna, secondo il giudice, è “incline alla mistificazione e alla strumentalizzazione degli affetti”, non ha “rispetto per la vita umana”.

Parole molto dure che descrivono tutto l’orrore dietro una dei più efferati figlicidi della cronaca italiana degli ultimi tempi. Doveroso è dare risposte, chiarire questa intricata vicenda. Quel che è certo è che la madre assassina voleva disfarsi di Diana, considerandola come un peso e un ostacolo alla sua libertà.