Versa ansiolitici nel cappuccino della collega per prenderne il posto: condannata

Temendo di essere licenziata, per mesi avrebbe versato forti dosi di ansiolitici nel cappuccino della collega, in un’agenzia assicurativa di Bra, in provincia di Cuneo: per questo, una donna di 53 anni è stata condannata a 4 anni di reclusione dal tribunale di Asti, con rito abbreviato. Lei, difesa dagli avvocati Alberto Pantosti Bruni e Pietro Merlino, ha sempre negato — «non ho mai fatto una cosa del genere» — ed è rimasta scioccata per la sentenza, al pari dei suoi legali, basiti, che faranno ricordo in Appello. Incensurata, la donna non è mai stata sottoposta ad alcune misura cautelare restrittiva.

La vicenda era iniziata nell’ottobre 2017 quando, secondo l’ipotesi dell’accusa, in tempi di tagli al personale, la donna aveva iniziato a versare delle benzodiazepine nel cappuccino della collega, quando le due andavano nel bar a fianco, per la pausa caffè. Quasi subito la vittima ha iniziato ad accusare sintomi e dolori, tanto da stare a casa per malattia e, contemporaneamente, notando che una volta lontana dal lavoro i sintomi diminuivano. Fino a sporgere denuncia contro la collega di lavoro, incastrata poi dalle indagini dei carabinieri. Una delle prove principali, nella ricostruzione della Procura, sarebbe l’esame su un campione di cappuccino che la vittima aveva fatto analizzare, dopo i primi sospetti: la bevanda conteneva quantità molto elevate di benzodiazepine.

Ma proprio questo particolare sarà uno dei motivi di Appello della difesa, cui qualcosa non quadra, alla luce della consulenza di parte svolta dal medico legale Lorenzo Varetto: nel cappuccino — secondo la tesi difensiva — ci sarebbe infatti stata una tale quantità di ansiolitici che la persona, bevendo il cappuccino, sarebbe crollata immediatamente a terra, senza poter essere svegliata per diverse ore. Come mettere nove pastiglie e 180 gocce di farmaco. Al contrario — sostiene sempre la difesa — la vittima andò al pronto soccorso, con lievi manifestazioni di malessere. Una versione cui però il giudice non ha creduto.