Riforma del lavoro Fornero: la prof bocciata dalla Consulta

 

Roma, 28 feb – Con Elsa Fornero il tempo non è stato galantuomo. Tutti, infatti la ricordano per la triste vicenda degli esodati. Come se non bastasse, in questi giorni è arrivata un’altra brutta notizia per la professoressa piemontese. La suprema Corte, infatti, ha “bocciato” la “sua” riforma del lavoro nella parte che eliminava l’obbligo di reintegrare nel posto il lavoratore licenziato arbitrariamente. Un brutto colpo per la democraticissima Fornero, accusata di aver varato un provvedimento che viola la Costituzione.

La sentenza

Il 24 febbraio scorso “La Corte costituzionale ha esaminato la questione di legittimità sollevata dal Tribunale di Ravenna sull’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, come modificato dalla cosiddetta legge Fornero (n. 92 del 2012)”. L’oggetto del contendere era la “facoltà e non il dovere del giudice di reintegrare il lavoratore arbitrariamente licenziato in mancanza di giustificato motivo oggettivo”. I membri della suprema Corte hanno accolto la richiesta dei giudici di Ravenna: “la questione è stata dichiarata fondata con riferimento all’articolo 3 della Costituzione”. Povera Elsa Fornero! È inciampata proprio su uno dei primi dodici articoli: i principi fondamentali della Carta costituzionale.

Tornado alla sentenza, il succo della pronuncia è semplice: non ci può essere disparità di trattamento tra il licenziamento economico e quello per giusta causa. La riforma Fornero (all’epoca ministro del Lavoro) prevedeva l’obbligo della reintegra solo in caso di licenziamento senza giusta causa, in tutte le altre fattispecie c’era il risarcimento. Qualche anno dopo arriverà il Jobs Act a cancellare il famoso articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Rimane un dubbio: come mai la professoressa di San Carlo Canavese ha commesso una tale leggerezza? È stata una svista? Assolutamente, no. Era convinta fino in fondo del provvedimento che aveva adottato, e lo rivendicava anche con grande orgoglio.

La riforma Fornero e l’articolo 18

Riavvolgiamo il nastro e torniamo al 2012. Basta rileggersi l’intervista rilasciata a La Repubblica a marzo di quello stesso anno. Dalle colonne del quotidiano fondato da Scalfari, l’allora ministro difendeva a spada tratta il provvedimento: “Questa è una riforma seria ed equilibrata. Spero che i partiti capiscano: modifiche se ne possono fare, ma il governo non accetterà che questo disegno di legge venga snaturato o sia ridotto in polpette”. Non solo ma Elsa Fornero era pronta ad usare la sua bacchetta contro deputati e senatori: “Questo provvedimento potrà anche subire qualche cambiamento, ma chiediamo che il Parlamento sovrano ne rispetti l’impianto e i principi basilari. In caso contrario dovrà assumersi le sue responsabilità e il governo farà le sue valutazioni”.

Infine, vediamo cosa diceva proprio sui licenziamenti: ”Sull’art. 18 il senso della nostra riforma è chiaro: nei licenziamenti per motivi economici oggettivi è previsto l’istituto dell’indennizzo e non quello del reintegro. Questo principio base della legge dovrà essere rispettato”. Ebbene quel principio è stato rispettato dai parlamentari ma bocciato seppur con grave ritardo dalla Consulta che si è riservata di depositare le deposizioni nelle prossime settimane. Elsa Fornero è anche recidiva visto che la sua famosa riforma delle pensioni fu bocciata dalla stessa Corte.

Precarietà: non basta lo Statuto dei lavoratori

Questa sentenza non ha turbato solo la nostra professoressa. Gli imprenditori, infatti, temono che la Consulta possa smantellare le “riforme” che hanno portato a una maggiore flessibilità nella gestione dei licenziamenti. Dall’altra parte della barricata, i sindacati apprezzano l’orientamento della suprema Corte. Tuttavia, è bene dire che l’articolo 18 e l’intero Statuto dei lavoratori non è più sufficiente a contenere la spinta verso la precarietà.

L’obbligo di reintegrare chi viene licenziato ingiustamente è servito a tutelare chi nelle grandi fabbriche si esponeva di più nei confronti delle decisioni dei datori di lavoro. Oggi però le cose sono cambiate: le grandi realtà industriali sono state (o verranno) smantellate in nome della “distruzione creatrice”. Anche nelle infrastrutture le logiche privatistiche hanno avuto la meglio: vedi Autostrade. E’ per questo che l’articolo 18 non basta. Non ci servono giudici solerti ma una classe dirigente capace di favorire lo sviluppo economico e di conseguenza un reale aumento dell’occupazione.

ilprimatonazionale.it