Paese a pezzi: crolla un ponte e un tratto di autostrada

È la politica del cerotto. A ogni alluvione o frana si risponde con il rammendo di quel lembo di territorio slabbrato. Un continuo testacoda nel Paese delle perenni emergenze e della logica del giorno dopo.

Una rincorsa continua, in un territorio martoriato, a una normalità – concetto empirico – che non c’è mai stata. Cosi la prevenzione spesso diventa un’esposizione sulla prima linea delle calamità.

L’Ispra, l’Istituto nazionale per la protezione dell’ambiente, offre dati che vanno letti come una requisitoria: quasi tutti i comuni italiani, il 91 per cento per la precisione, sono a rischio. Questo almeno ci dice la mappa del dissesto idrogeologico del 2017. Rispetto al 2015, due anni prima, una porzione significativa del municipi tricolori, il 3 per cento, è stata trascinata in questa spirale rovinosa. Insomma, la carta dell’Italia malata si allarga invece di restringersi. E non è nemmeno questa la notizia più allarmante: tre milioni di nuclei familiari vivono in zone ad alta vulnerabilità. Sarebbe troppo dire che le loro case sono state costruite sulla sabbia, però devono tenere tutti e due gli occhi ben aperti. Non si sa mai.

Per non farci mancare niente, l’Ispra aggiunge altri due dettagli non proprio rassicuranti: nell’ultima fotografia, quella scattata nel 2017, la superficie potenzialmente soggetta a frane aumenta del 2,9 per cento rispetto al 2015. E allo stesso modo si amplia quella potenzialmente allagabile nello scenario medio, con un preoccupante più 4 per cento rispetto alla rilevazione precedente. Certo, a parziale consolazione arriva una spiegazione che per una volta non è un atto d’accusa ma un complimento ai nostri tecnici: gli incrementi non sono il risultato di una gestione scriteriata del suolo, ma di studi sempre più approfonditi e dettagliati, capaci di illustrare criticità inedite. Che si combinano, purtroppo, con una stratificata disinvoltura davanti alle tematiche ambientali. Quasi il 4 per cento degli edifici, circa 550mila, si trova in aree dove il pericolo frane è elevato o molto elevato. Dunque, dalle Alpi alla Sicilia, è tutto un catalogo di situazioni che non ci lasciano tranquilli. Poi si può anche decidere di non pensare al peggio, finché il peggio arriva. Com’è capitato nei giorni scorsi a Venezia: qui il Mose, nato negli anni Ottanta dopo la spaventosa inondazione del ’66, non è finito anche se è costato finora 5,5 miliardi di euro, e la città è stata devastata per l’ennesima volta, con un miliardo di danni.

Gli arresti e le mazzette, proprio come è successo in Laguna, la burocrazia vischiosa, i soldi spesi male: sono tante le cause dell’inadeguatezza degli interventi, a fronte di un territorio sempre più fragile, come una persona anziana e malata. Intendiamoci: le risorse che prendono questa strada non sono poche, ma sono insufficienti rispetto alla mole dei problemi da affrontare: solo una settimana fa il ministro Andrea Costa ha confezionato un decreto che vale 361 milioni di euro e 236 interventi. Appunto 236 cerotti nell’Italia dalle mille piaghe. «Non lavoriamo sulla logica dell’emergenza, ma con una programmazione costante», insiste Costa. Però fra smottamenti, inondazioni e sciagure varie l’opera immaginata a bocce ferme diventa spesso una benda su ferite aperte e sanguinanti. Il tutto senza considerare lo scempio andato avanti per decenni, il saccheggio che ha reso ancora più precario un paese dagli equilibri davvero difficili. E poi, a complicare tutto, c’è l’eterna inconcludenza italiana, fra veti, tabù e ricorsi al giudice per bloccare quel che si dovrebbe fare. Basta pensare, per pungere con un esempio fra mille, all’incredibile ed estenuante saga delle infrastrutture, vasca più scolmatore nell’ultima versione, pensate per arginare il Seveso che con puntualità disarmante fa notizia allagando alcuni quartieri di Milano. Un’altra storia imbarazzante che va avanti da decenni con il risultato che l’acqua imperversa. Proprio come a Venezia. Anche se finalmente una soluzione si profila all’orizzonte. Nell’Italia sbriciolata il passato rischia di sommergere anche il futuro.