Migranti, ecco come avvengono gli sbarchi fantasma

 

Secondi i dati aggiornati dal Viminale, dall’inizio dell’anno al 15 agosto scorso, in Italia sono sbarcati 4.269 migranti. Per il Procuratore di Agrigento Luigi Patronaggio, ascoltato in Commissione Antimafia il due luglio scorso, gli sbarchi fantasma si attestano oggi al 20-25%.

“Gli sbarchi fantasmi sono un vero pericolo perché chi arriva così vuole sottrarsi all’identificazione”. Cerchiamo di capire, semplificando al massimo, cosa sono gli sbarchi fantasma e come avvengono.

Sbarchi fantasma: le imbarcazioni utilizzate
A differenza dei gommoni e dei barconi in legno ampiamente utilizzati nel Mediterraneo centrale, per gli sbarchi fantasma si impiegano piccoli pescherecci, unità in legno e da diporto. Le ridotte dimensioni dell’imbarcazione consente un limitato numero di occupanti per unità. Tali unità navigano solitamente senza alcun tipo di sistema di rilevazione che possa consentire il loro monitoraggio come l’AIS.

“L’Automatic Identification System opera nella banda VHF marittima: consente lo scambio wireless dello stato di navigazione tra imbarcazioni e centri costieri di monitoraggio del traffico. Le imbarcazioni commerciali, le navi oceaniche ed altri natanti equipaggiati con i ricetrasmettitori, AIS trasmettono messaggi AIS che comprendono il nome dell’imbarcazione, la rotta, la velocità e lo stato di navigazione corrente. Obbligatorio per le imbarcazioni di stazza lorda superiore alle 300 tonnellate, è attualmente facoltativo per le unità più piccole. Per il diporto, invece, è molto utile (e relativamente economico) un sistema AIS passivo, cioè solo in grado di ricevere le informazioni inviate dalle navi ma non di trasmettere le proprie”.

Alcune unità, come le barche a vela provenienti da Est, possono essere facilmente scambiate per quelle dedite ad una regolare navigazione da diporto o, comunque, ad un normale utilizzo del mare. Ecco perché in alcuni casi, le imbarcazioni utilizzate negli sbarchi fantasma non sono immediatamente associate al fenomeno migratorio. Navigando in totale autonomia, le unità cercano di occultare la loro presenza allo scopo di raggiungere le coste italiane senza essere individuate ed intercettate dalla griglia di rilevamento.

Come funzionano i radar?
Per spiegare come funzionano i radar (tralasciamo lo spazzamento meccanico e quello ad apertura sintetica) portiamo un semplice esempio: la terra è un pallone da basket. Sul pallone mettiamo un cerchio, che sarebbe il radar, e spostiamolo su di esso. Il raggio di scansione del radar non può vedere oltre l’orizzonte, mentre può essere bloccato parzialmente o completamente da terreni complessi o da un oggetto fisso come una montagna. Un problema, quest’ultimo, affrontato dai russi in Siria nell’allestire una griglia di rilevamento basata sull’S-400. Posizionare il radar ad un’altitudine più elevata o in cima a una montagna allevierebbe il problema, ma ciò potrebbe limitare la scansione ai livelli più bassi. Accenniamo brevemente ai fattori che possono alterare in modo significativo la propagazione di un segnale radar, come la le variazioni della temperatura atmosferica, dell’umidità e della pressione. Una copertura radar offshore, quindi, dovrà tenere conto degli effetti negativi delle condizioni atmosferiche sulla propagazione del segnale radar. Ricordiamo, infine, altri due fattori: il primo è che il raggio del radar si diffonde mentre si propaga da quest’ultimo. Il secondo è che la distribuzione di energia all’interno del raggio radar non è uniforme. La maggior parte della potenza, infatti, è concentrata vicino all’asse principale del raggio e l’intensità diminuisce approssimativamente seguendo uno schema gaussiano. Oltre alle condizioni atmosferiche devono essere note le informazioni dettagliate sul terreno, sulla posizione e sui parametri hardware del radar ed il suo modello di scansione. Per superare tali limiti fisici, qualcuno ha pensato bene di collocare un radar su un aereo.

Perché i radar terrestri non rilevano gli sbarchi fantasma?
A causa delle loro caratteristiche, le piccole imbarcazioni possiedono una probabilità di rilevazione ridotta dalle moderne tecnologie di monitoraggio. Parliamo di unità con una lunghezza inferiore ai venti metri. Anche se per forme e strutture tali navi possono differire, mantengono una caratteristica comune: le esigue dimensioni. Se alle dimensioni, associamo l’alta velocità e le condizioni meteorologiche sfavorevoli, il rilevamento ed il tracciamento saranno estremamente difficili. I piccoli scafi utilizzati in altri contesti e costruiti in vetroresina, alluminio, fibra di carbonio e Kevlar, offrono diversi vantaggi in base a specifiche esigenze. Da sottolineare che tutti i metalli sono altamente riflettenti per il radar, pertanto esistono diversi design e materiali che consentono loro di ridurre la RCS.

La rete costiera della Marina Militare italiana
La rete radar costiera della Marina Militare italiana è strutturata su una serie di postazioni fisse e mobili in grado di garantire una efficace Maritime Situational Awareness. Spiega Vito Pesare, esperto in Guerra elettronica della Marina Militare oggi in pensione.

“Tutti i siti sono equipaggiati con i radar tipo RASS C e Gabbiano T200C che hanno sostituito i vecchi sistemi 756 e 755. Ogni Sito è poi dotato di un apparato radio VHF, uno optoelettronico ed una telecamera infrarossi, impiegabile anche di notte. La Marina è anche promotrice del Virtual-Regional Maritime Traffic Centre (V-RMTC) / Trans Regional Maritime Network (T-RMN)”.

Il principale radar di scoperta di cui dispongono i siti è il RASS C che, con la sua capacità Over The Horizon (OTH), è in grado di intercettare navi a elevata distanza. Il T200C Gabbiano, invece, è un radar con capacità Inverse Synthetic Aperture Radar (ISAR). Ciò significa che, oltre alla capacità di scoperta, è in grado di catturare l’immagine elettromagnetica delle navi in modo da classificare un contatto sconosciuto tra tipi diversi di unità (come pescherecci, militari, petroliere e altro).

Il V-RMTC è una rete virtuale che collega le centrali operative delle Marine aderenti all’iniziativa. Su questa rete, che sfrutta le capacità di connessione offerte da internet, viaggiano le informazioni non classificate relative al traffico mercantile composto da unità superiori o pari a 300 tonnellate. Le informazioni, inviate secondo un formato (MERSIT) sviluppato dalla nostra Marina Militare, sono raccolte da un HUB ubicato presso il Comando in Capo della Squadra Navale (CINCNAV) che le rende disponibili a tutti i partecipanti. Il sistema sfruttando internet, piattaforme commerciali e software sviluppato dalla Marina Militare si presenta particolarmente economico, di facile gestione e “garantito”, nel senso che le informazioni hanno una provenienza “certificata” dalla Marine aderenti, aspetto che ad oggi caratterizza solo il V-RMTC.

Il ruolo dei droni
Due piattaforme a pilotaggio remoto sempre in volo, garantirebbero una copertura ottimale del raggio d’entrata dal mediterraneo. Tuttavia anche se i pattugliamenti unmanned venissero potenziati da piattaforme ISTAR con equipaggio come i P-72A ad esempio, servirebbe una specifica flotta UAV per garantire un costante controllo dell’evoluzione della situazione. Dobbiamo considerare, infatti, i guasti e la manutenzione ordinaria. Per persistenza, raggio d’azione e bassi costi di esercizio la piattaforma ideale sarebbe l’MQ-9A. Tale flotta UAV non dovrebbe essere a carico di una singola nazione come l’Italia, ma strutturata a livello europeo. Per intenderci: il 32esimo Stormo di Amendola potrebbe tranquillamente assolvere tale compito, ma la sua componente a pilotaggio remoto dovrebbe essere potenziata. Tempo fa, la NATO aveva garantito alcuni AWACS anche per monitorare il flusso migratorio, ma è una piattaforma di alta fascia troppo costosa per svolgere tale compito con regolarità.

Contrastare gli sbarchi fantasma
La soluzione migliore sarebbe quella di continuare ad integrare tutte le tecnologie esistenti (radar, satellitari ed elettro-ottiche) in un dispositivo di sorveglianza marittima a livello europeo. Se gli sbarchi fantasma sono un problema reale, non vi è ancora unanimità in tal senso, è imperativo potenziare la rete europea di sorveglianza delle frontiere marittime del Mediterraneo.