Lo studioso del gender ammette: “Mi sono inventato tutto”

 

Non solo l’ideologia gender esiste, ma chi l’ha sponsorizzata per anni ora si pente e ammette di aver falsificato le conclusioni delle sue ricerche.

Parliamo del docente canadese Christopher Dummitt, professore associato di storia presso la Trent University di Peterborough, autore di due libri: The Manly Modern: Masculinity in the Postwar Years (Vancouver 2007) e Contesting Clio’s Craft: New Directions and Discussates in Canadian History (London, 2009). Il primo, in particolare, è definito “il primo grande libro sulla storia della mascolinità in Canada” e “si rivolge a studiosi e studenti di storia, studi di genere e studi culturali”, nonché ai “lettori interessati alla storia e alla costruzione sociale del genere”. Il “genere” inteso dunque come una costruzione sociale e culturale, in una visione dei sessi in cui nulla è determinato: anche il corpo e la biologia sarebbero sottoposti all’agire umano, secondo una prospettiva post-moderna e costruttivista.

Ora Dummitt, ideologo del gender e docente di fama, ammette di essersi profondamente sbagliato. In un articolo intitolato Confessioni di un costruttivista sociale pubblicato su Quillette e tradotto da Le Pointe, il professore osserva che, inizialmente, “molte persone non erano della mia opinione. Chiunque – quasi tutti – non fosse pratico delle teorie sul genere aveva difficoltà a credere che il sesso fosse un costrutto sociale, tanto era contro il buon senso. Ma oggi le mie idee sono ovunque. Nei dibattiti sui diritti dei transessuali e sulla politica da adottare in merito ai trans nello sport”. Per molti attivisti, sottolinea, “dire che il sesso è una realtà biologica equivale a hate speech” e gli ultra-progressisti “accusano chiunque lo affermi di negare l’identità delle persone transessuali e ciò equivale a voler causare danni a un altro essere umano. A tal proposito, il cambiamento culturale è stato stupefacente”.

Piccolo problema: lo studioso del gender ammette di essersi sbagliato e di aver, in buona parte, essersi inventato tutto dalla A alla Z. È lo stesso professore canadese a illustrare la fallacia delle sue argomentazioni sugli studi di genere. “Innanzitutto – afferma – ho sottolineato come storico che il genere non è stato sempre e ovunque definito allo stesso modo. Come ho scritto in The Manly Modern, il genere è una raccolta di concetti e relazioni storicamente mutevoli che danno senso alle differenze tra uomini e donne”. Secondo aspetto: il potere, quello che, secondo gli studi di Dummitt, era alla base di tutto. “Pertanto – prosegue – se qualcuno negava che il sesso e il genere fossero variabili, se insinuava che c’era qualcosa di intramontabile o biologico nel sesso e nel gender, allora stava effettivamente cercando di giustificare il potere. E quindi legittimare le oppressioni”.

Nell’articolo-confessione pubblicato su Quillette, Dummitt ammette: “La mia ricerca non ha dimostrato nulla, in un modo o nell’altro. Supponevo che il genere fosse un costrutto sociale e ricamavo tutte le mie ‘argomentazioni’ su quella base”. Le uniche critiche che il professore ha ricevuto, racconta lui stesso, cercavano di rafforzare ulteriormente il paradigma gender o di lottare per altre identità o contro altre forme di oppressione. In buona sostanza, in questa prospettiva costruttivista c’era (e c’è, ancora oggi), molta ideologia e pochissima scienza. Studi che si sono perfettamente sposati con il politically correct e con la politicità dell’identità imperante nelle università liberal canadesi e americane. Le conseguenze devastanti di questa deriva le spiega lo stesso professore: “Il mio ragionamento rozzo e altre opere accademiche che sfruttano lo stesso pensiero errato sono ora ripresi da attivisti e governi per imporre un nuovo codice di condotta morale”.

 

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