L’ira dei poliziotti sui giudici: “Per loro è lecito ammazzarci”

Il contesto è questo: manifestazioni No Tav del 3 luglio 2011. Ricordate? “Furono ore di guerriglia”, dice chi indossava elmetto e divisa in quella maledetta giornata.

Otto anni dopo i processi contro i violenti di Chiomonte non si sono ancora chiusi, benedetta giustizia nostrana. Di capitoli, stralci del maxi-processo e polemiche ce ne sono stati a decine. Ieri l’ultimo colpo di scena. La Cassazione infatti si è espressa affermando che alcuni dei manifestanti della grande manifestazione anti Tav potrebbero aver commesso qualche reato perché “suggestionati dalla folla in tumulto” o perché “in stato d’ira determinata da un fatto ingiusto”, come l’atteggiamento della polizia. Dunque la corte di Appello di Torino dovrà valutare le attenuanti. E quindi uno sconto di pena.

L’inferno di Chiomonte

La notizia non fa sorridere Andrea Cecchini. Oggi è un sindacalista di Italia Celere, ma continua a vivere la strada da poliziotto. Era a Chiomonte quando 200 agenti riportarono ferite di varia entità. A lui toccarono circa 20 giorni di prognosi, 3 mesi di assenza dal servizio, un timpano lesionato, la sublussazione della spalla e difficoltà respiratorie varie. “Un collega aveva la mano rotta – ricorda – a un altro è esploso un timpano”.

Non è facile tornare con la mente a quelle ore. “Tutto inizia alle 4 del mattino – racconta – quando ci portano sul viadotto autostradale. Intorno alle 9 iniziamo ad avvistare le prime tute bianche, nere, di ogni colore”. Da giorni si parla di una giornata campale. L’obiettivo delle forze dell’ordine è quello di non far avvicinare troppo i No Tav al cantiere. L’autostrada è chiusa. Dopo qualche ora Cecchini e i suoi uomini vengono spostati vicino al cantiere, nella zona sormontata da un bosco considerato inaccessibile. È lì che avviene il “massacro”. “Non è stata una guerriglia – dice il celerino – ma un inferno. Per sei ore consecutive ci hanno lanciato di tutto. Hanno iniziato con i sassi e le pietre, poi è arrivata pure una botte. Noi eravamo in basso, loro in alto”. Di bombe carta ne saranno esplose “almeno 400” ed erano pure chiodate. Poi le molotov. “Avevano una formazione militare”, giura Cecchini che quegli incappucciati li ha visti da vicino. Molto da vicino. “La mia squadra a un certo punto riesce ad aprire un varco tra i primi manifestanti e lì dietro troviamo un vero e proprio accampamento. C’erano persone con le maschere antigas che spezzavano le pietre con una mazzetta per passarle ad altri che le avrebbero lanciate contro noi agenti”. La polizia prova a rispondere con i lacrimogeni, inutilmente. Il peggio viene sfiorato quando “i No Tav sequestrano un carabiniere” e lo pestano a sangue. “L’ho incontrato in ascensore in ospedale – ricorda Cecchini – era devastato da decine di fratture”. I violenti gli avevano tolto pure la pistola di ordinanza: “Chiedevano la liberazione di un fermato in cambio della restituzione”. Un inferno.

La sentenza

La sentenza della Cassazione, come riporta la Stampa, riguarda quattro manifestanti. Secondo i giudici, i colleghi di Torino non si sono soffermati abbastanza sul comportamento delle forze di polizia a Chiomonte. Per questo bisognerà valutare per i violenti la possibile attenuante di aver agito “in stato d’ira determinata da un fatto ingiusto”. C’è poi la questione della “suggestione di una folla in tumulto”. Secondo i magistrati, infatti, non sarebbe dimostrato che i manifestanti avessero intenzione di dare vita agli scontri.

Ira della polizia

Cecchini non ci sta. È convinto che tutto fosse “premeditato”. Ecco perché, nel leggere la sentenza della Cassazione, prova “rabbia e preoccupazione”: “Ho rischiato la vita, ho visto la morte in faccia e non ho avuto giustizia”. Non è tempo di mezzi termini. “Ora viviamo con una grande preoccupazione: in piazza i violenti potranno gettare molotov e pestarci, convinti che tanto verranno giustificati da ‘ira’ o ‘suggestione’ e otterranno le attenuanti”. Per Cecchini quella degli ermellini è una decisione “che lascia senza parole”. Basti pensare che “nessuno dei 200 poliziotti feriti quel giorno verrà mai ripagato per le spese mediche. I miei accertamenti successivi alla prognosi ho dovuto pagarli di tasca mia”. Come si è potuta trovare anche “una sola giustificazione per persone che cercavano di ucciderci”? “Non vorremmo che questa sentenza facesse passare il messaggio che se sei suggestionato o adirato puoi tranquillamente ammazzare un poliziotto con una molotov”.