LILIANA RESINOVICH, IL FRATELLO ROMPE IL SILENZIO: “NON SI È TOLTA LA VITA MA…”

Un giallo interminabile, quello della morte della 63enne triestina Liliana Resinovich. Lilly, così era chiamata dagli amici, ex dipendente in pensione, conduceva una vita tranquilla, fino al 14 dicembre 2021.

Da quel maledetto giorno di lei si sono perse le tracce. Sembrava scomparsa nel nulla fino a quando, il 5 gennaio di quest’anno, il suo cadavere è stato ritrovato ne boschetto dell’ex ospedale psichiatrico di San Giovanni, a Trieste.

Dagli esami tossicologici non sono stati riscontrate, nel suo corpo, tracce di sostanze xenobiotiche, di droghe o farmaci che possano averne provocato il decesso. Per diverso tempo, gli occhi di molti sono stati puntati sul marito della donna, spesse volte ospite di Quarto Grado.

L’uomo, fotografo in pensione, che ha un laboratorio in cui affina lame, si è sempre ritenuto innocente…innocenza confermata dall’esame del Dna, fino a quando, il 9 agosto, è arrivata la notizia che nessuno si sarebbe mai aspettato.

A 7 mesi dalla morte di Lilly, gli esperti hanno concluso che sia morta per “asfissia causata dai sacchetti, compatibile con il suicidio”. Insomma, per i periti incaricati dalla procura di Trieste, la 63enne avrebbe fatto tutto da sola. Questo quanto emerso dagli accertamenti cadaverici sul corpo della donna.

Un caso che è tutt’altro che risolto, dal momento che né il marito di Liliana, né il fratello Sergio Resinovich, hanno mai creduto al fatto che la donna possa essersi tolta la vita, a poche centinaia di metri da casa. Il legale di Sergio, Nicodemo Gentile, assieme alla psicologa consulente Gabriella Mariano, in una nota, hanno ribadito che Lilly non si è suicidata ma che è stata uccisa da 1 o più persone. Per dover di cronaca, ricordo che l’ipotesi degli inquirenti è che Liliana si sia tolta la vita, chiudendosi la testa in 2 sacchetti di plastica, per poi indossare 2 grandi sacchi, uno dall’alto, uno dal basso, in modo da chiudere completamente il suo corpo.

 L’avvocato Gentile e la psicologa Marano, leggendo attentamente le 50 pagine della consulenza della Procura di Trieste, che sono state redatte da da Fulio Costantinides e da Fabio Cavalli, hanno smontato la tesi dell’asfissia che Liliana, a detta degli esperti, si sarebbe provocata da sola, togliendosi la vita 2-3 giorni prima del ritrovamento del suo cadavere nel boschetto. Gentile e Marano hanno una teoria completamente diversa di come siano andati i fatti il 14 dicembre. Secondo loro, la 63enne, dopo aver messo su la lavatrice, fatto colazione e assunto gli integratori, sarebbe stata intercettata,  accompagnata o comunque sorpresa da una visita da parte di qualcuno che ben conosceva.

Tra lei e il suo potenziale aggressore, sarebbe nata una forte lite che da verbale sarebbe sfociata in percosse e strattonamenti. Nel corso della stessa, potrebbe aver subìto un’occlusione delle vie respiratorie, “magari con una sciarpa, un cappello o un giubbotto, che ha determinato uno scompenso cardiaco”, favorito dai problemi cardiaci che il medico legale della Procura ha riscontrato. Gentile e Marano, determinati a vederci chiaro su questo caso che per loro è apertamente un giallo, hanno nominato un ulteriore medico legale, il prof. Vittorio Fineschi, titolare di Medicina Legale dell’Università di Roma.

I rappresentanti del fratello della vittima, Sergio Resinovich, hanno riportato il parere del medico di famiglia che aveva in cura Liliana e che ha sempre definito il suo carattere “tranquillo e indenne da turbamenti e squilibri che avrebbero potuto comportare l’assunzione di farmaci”. C’è un altro punto non chiarito: quello relativo al luogo in cui la donna sia rimasta dalla scomparsa sino al macabro ritrovamento.

Dopo la lite, gli aggressori o l’aggressore hanno dovuto ricomporre la donna, rivestendola e posizionando il famoso orologio rosa della 63enne sul polso sinistro, piuttosto che su quello destro, in cui era solita portarlo, con la corona rivolta al contrario. Il delitto (non il suicidio) potrebbe essere stato compiuto da qualcuno che va ricercato nel mondo delle più ampie relazioni di Liliana, e non è escluso che si sia trattato di omicidio preterintenzionale, culminato con l’occultamento del cadavere.