Il tribunale dei ministri dà ragione a Salvini: “Le Ong sbarchino nei loro Paesi”

 

Giusto una settimana fa la procura di Agrigento si è rimessa in testa di provare a inchiodare Matteo Salvini accusandolo dei reati di sequestro di persona e omissione di atti di ufficio.

Per farlo hanno ritirato fuori il caso dei 164 immigrati clandestini che, dopo essere stati recuperati al largo della Libia, la Open Arms, la nave dell’ong spagnola fondata nel 2015 dal catalano Oscar Camps, aveva portato nel porto di Lampedusa. L’allora ministro dell’Interno li aveva bloccati una ventina di giorni nel tentativo di far rispettare il decreto Sicurezza. E così i pm hanno fatto fioccare un’inchiesta fotocopia di quella (già archiviata) sul caso Diciotti. E pensare che, come riportano il Corriere della Sera e il Fatto Quotidiano, anche il fascicolo sui 65 che si trovavano a bordo della “Alan Kurdi”, la nave della ong tedesca Sea Eye, è stato liquidato dal tribunale dei ministri di Roma lo scorso 21 novembre. Certo, in questo caso le accuse sono omissione di atti di ufficio e abuso di ufficio, ma quel che conta è che le toghe hanno rimarcato un principio sacrosanto: “Le organizzazioni non governative devono sbarcare nel proprio Paese”.

Sin da quando Salvini ha avviato la campagna contro l’immigrazione clandestina, i magistrati hanno fatto di tutto per mettergli i bastoni tra le ruote. “Per me difendere il mio Paese è sempre una medaglia”, ha ripetuto in più di un’occasione l’ex ministro dell’Interno tirando avanti nonostante le inchieste e i ripetuti tentativi di vari magistrati di smantellare i decreti Sicurezza per riaprire i porti italiani. Adesso, però, il tribunale dei ministri ha messo nero su bianco che la linea del leader leghista non solo è lecita ma dovrebbe anche essere rispettata a livello europeo. Sebbene la responsabilità di assegnare un “porto sicuro” all’imbarcazioni, che trasportano gli immigrati prelevati in mare, tocchi allo “Stato di primo contatto”, le indicazioni ricavate da Convenzioni e accordi internazionali stabiliscono che “lo Stato di primo contatto non può che identificarsi in quello della nave che ha provveduto al salvataggio”. Pertanto non spetta all’Italia farsi carico delle organizzazioni non governative che continuano a bussare alle loro porta. Nel caso della “Alan Kurdi”, che dopo il “no” di Roma si era diretta a Malta, ha dunque fatto bene Salvini a bloccarla visto che l’imbarcazione batte bandiera tedesca. Anche perché, nonostante in alcuni casi le coste del Paese di riferimento della nave siano lontane, “la normativa non offre soluzioni precettive idonee ai fini di un intervento efficace volto alla tutela della sicurezza dei migranti”. Nemmeno quando questi sono in pericolo.

Sul caso dei clandestini bloccati a bordo della Sea Eye lo scorso aprile non ci sarà dunque alcun processo. “Ora sono curioso di vedere a questo punto cosa decideranno le altre procure”, ha rimarcato Salvini dopo l’archiviazione. Purtroppo, come già anticipa Giovanni Bianconi sul Corriere della Sera, il provvedimento del tribunale dei ministri non metterà la parola fine ad altre inchieste. Le motivazioni del collegio ministeriale di Roma restano comunque una vittoria politica per il leader leghista che ci ha subito tenuto a rimarcare che “finalmente” è stato riconosciuto da un giudice che “bloccare gli sbarchi non autorizzati di immigrati non è reato”. E così, sulla scorta di questa sentenza, ha fatto ugualmente bene tutte le volte che da ministro dell’Interno ha spronato il governo a opporsi ai blitz delle ong straniere nei porti italiani. Anche quando, come nel caso della Sea Watch 3, Carola Rackete era addirittura arrivata a infrangere il divieto di ingresso e a speronare una motovedetta della Guardia di Finanza pur di entrare nel porto di Lampedusa (guarda il video). Peccato però che per la sinistra nostrana la capitana resterà sempre una campionessa di civiltà e il capitano il male assoluto. Il tutto in barba alla legge italiana.

 

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