Il racconto dei pescatori: «Ci umiliavano, ci mettevano spalle al muro e ci facevano angherie»

 

Lo scambio tra i pescatori italiani e i 4 scafisti libici detenuti in Italia entra nel fascicolo d’inchiesta della Procura di Roma. Quella che sembrava una indiscrezione giornalistica dei quotidiani libici vicini a Khalifa Haftar, adesso prende corpo.  A raccontarlo, infatti, sono gli stessi testimoni.

I pescatori e lo “scambio tra prigionieri”

Ascoltati dagli uomini del Ros, hanno raccontato di avere sentito durante la prigionia di uno «scambio tra prigionieri». Lo si legge in un ampio servizio dell’Adnkronos. «Abbiamo sentito parlare in carcere di uno scambio di prigionieri tra noi e alcuni detenuti libici. Ma non abbiamo saputo altro. Ne parlavano i detenuti ma i carcerieri non ci dicevano niente». Lo ha detto Pietro Marrone, il comandante del peschereccio “Medinea” uscendo dalla caserma.

«Abbiamo capito che la cosa è diversa»

«All’inizio pensavamo che fosse un sequestro normale. Poi abbiamo capito che la cosa era diversa, forse era più una questione politica». A pochi passi da lui c’è un altro pescatore. Si chiama Giovanni Bonomo ed era sulla nave Antartide. «Dopo circa un mese di prigionia in Libia i carcerieri ci hanno detto che la Libia chiedeva uno scambio di prigionieri tra noi e quattro detenuti libici».

I pescatori raccontano le umiliazioni

«Quando chiedevamo se e quando ci avrebbero rilasciati, la risposta era sempre la stessa: lo sa solo Dio». Ma come venivano trattati i pescatori in carcere? A raccontarlo è Pietro Marrone: «Abbiamo subito molte umiliazioni. Ci mettevano con le spalle al muro e ci gridavano a pochi centimetri dalla faccia». Poi Marrone racconta cosa accadde la sera del primo settembre scorso quando furono sequestrati da una motovedetta libica.

«Hanno iniziato a sparare»

«La motovedetta libica si è avvicinata e i militari libici hanno iniziato a sparare per aria», dice. «Hanno fatto salire sulla loro imbarcazione i comandanti dei pescherecci. Quando hanno iniziato a sparare noi ci siamo fermati subito. Hanno chiesto ai comandanti di scendere e ci hanno subito portati al porto di Bengasi». Per i primi «tre o quattro giorni» ci hanno portato in una specie di Ministero. Poi ci hanno portato in carcere.

«Temevamo per la nostra vita»

Giovanni Bonomo dice con le lacrime agli occhi: «Abbiamo temuto per la nostra vita. Sono saliti a bordo con le armi. Facevano i controlli armati». In carcere dormivano a terra «sul fango. Era uno schifo, potevamo stare in bagno solo dieci minuti e basta». Anche il pescatore indonesiano racconta le umiliazioni subite in Libia. «Ogni mattina, poco dopo le 6», afferma, «battevano i pugni forte contro la porta per svegliarci. Non la smettevano più. Era un tormento. Ho avuto tanta paura. Non tanto di morire ma di non potere più tornare nel mio paese».