Il Lazio riconosce la vulvodinia come malattia cronica e invalidante, ma dovrebbe essere così in tutta Italia

“La vulvodinia è anche detta ‘malattia di allontanamento'”, scrive su Instagram la consigliera del Lazio Marta Bonafoni, “Perché quando vivi e convivi con patologie come queste, devi fare i conti non solo con il dolore fisico, ma soprattutto con quello emotivo. Ti senti difettosa, meno donna, sola. Lo racconti e spesso non ti credono e il disagio aumenta.
E aumenta il maledetto stigma”. Per questo è necessario dare visibilità a questo male definito “invisibile” e a tutte le persone che ne soffrono, e per questo la Regione Lazio ha riconosciuto vulvodinia, neuropatia del pudendo e fibromialgia come malattie croniche invalidanti.

La mozione è passata il 10 febbraio e impegna la giunta e il presidente a garantire assistenza adeguata per queste malattie tipicamente “femminili” che vengono finalmente inserite nei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA). “Abbiamo anche chiesto”, spiega Bonafoni, della lista civica Zingaretti ,”di sgravare chi ne soffre delle spese sanitarie, spesso insostenibili, di avviare un percorso di crescita delle competenze del personale sanitario per garantire un’assistenza adeguata, di individuare presidi sanitari pubblici di diagnosi e cura e di promuovere campagne di informazione e sensibilizzazione sul tema, per diffondere, a partire dalle scuole, la conoscenza dei sintomi e spingere le giovani donne a chiedere aiuto”.

Lo scorso maggio la deputata del Movimento Cinque Stelle Lucia Scanu, aveva presentato una proposta di legge in Parlamento per “migliorare la salute e le condizioni di vita delle donne” riconoscendo finalmente la gravità di una malattia invalidante come la vulvodinia. La vulvodinia è una sindrome neuropatica, caratterizzata dall’infiammazione dei nervi dell’area genitale e pelvica che porta a dolori continui e invalidanti e che risulta difficile da diagnosticare per mancanza di conoscenza in proposito. “Questa malattia genera risvolti negativi pesantissimi dal punto di vista fisico, psicologico, sessuale e sociale di tante donne”, aveva spiegato Scanu, “I sintomi comuni sono dolori cronici e bruciori alla vulva e alla vagina, contrattura del pavimento pelvico, cistite, vaginiti ricorrenti, impossibilità ad avere rapporti sessuali senza dolore. Molte donne sono costrette a cambiare le proprie abitudini quotidiane, anche quelle più semplici, come, ad esempio, indossare pantaloni stretti o stare semplicemente sedute”. “Colleghi”, aveva poi aggiunto, “vi sembra accettabile che molte donne rinuncino alle cure per mancanza di soldi e siano costrette a convivere con il dolore?”. Da allora, il movimento per chiedere un riconoscimento della vulvodinia si è fatto sempre più forte anche grazie all’impegno di molte attiviste tra cui la modella e fidanzata di Damiano dei Maneskin, Giorgia Soleri che per prima ha portato all’attenzione pubblica la vulvodinia. Ora il Lazio fa da apripista, ma non possiamo accontentarci. Malattie croniche e poco conosciute come vulvodinia, neuropatia del pudendo e fibromialgia devono essere riconosciute in tutta Italia perché chi ne soffre riesca ad accedere alla diagnosi, alle cure e a una validazione del proprio dolore.