“Grazie, Muccioli”. Il padre di un tossico scrive a Travaglio: “A San Patrignano mio figlio è risorto “

Nella polemica sul documentario di Netflix, “Sanpa”, che descrive in modo sommario e inverosimile l’esperienza di Vincenzo Muccioli con migliaia di tossicodipendenti italiani, entra anche il “Fatto Quotidiano” di Marco Travaglio, che sceglie di pubblicare in tutta evidenza la lettera di un padre di un drogato. Una missiva che spiega meglio di tutto perché un processo “postumo” a Muccioli e ai suoi metodi, oltre che inopportuno, è anche ingiusto e poco attendibile. Il contesto, come aveva sottolineato anche Enrico Mentana in un suo intervento sui social, è fondamentale per capire cosa fosse davvero San Patrignano per chi, negli anni Ottanta, era rimasto intrappolato nel tunnel della droga.

La lettera di un padre: “A San Patrignano la salvezza”

“A Sanpa è andato mio figlio quando aveva 16 anni. Avevamo visto altre comunità, sentito i pareri contrari di alcuni terapeuti, visitato altre colline, superato altre soglie. Però San Patrignano ci sembrava la più adatta. Nessuna vendetta per quel ragazzo magro e ladro di oggetti, di affetti e di se stesso, ma la consapevolezza che soltanto passando dal lavoro duro su se stessi, non per questo forzato, che avrebbe potuto salvarsi. Perché quando avevo a che fare con lui, avevo a che fare con un tossico: era la sua dipendenza ad agirlo e non volevo nessuna complicità con essa. Quando è entrato faceva tenerezza. Era un coglioncello perso. Lo abbiamo rivisto dopo un anno circa. Quel giorno mio figlio si presentò tutto contento. Avevo lasciato un ragazzino perso e avevo davanti mio figlio, luce, sorriso, bocca, occhi, parole, pensieri riconoscibili. Piansi molto ma sorrisi molto anche… “.

La fabbrica della vita e del silenzio di “Sanpa”

Nella lettera, inviata al “Fatto”, il signor Francesco Faina ricostruisce tutte le fasi della vicenda, che condusse alla guarigione del figlio. “Muccioli ci portò a vedere la comunità, i settori, a farci conoscere le persone. A ogni settore che visitavamo, il o la responsabile ci accoglieva e ci spiegava cosa facevano: falegnameria, tessile, formaggi, pane. Mio figlio ci portò alle chimiche, il settore dove lavorava. Andammo a mangiare nel grande salone comune. Provate voi a stare con altre 1.300 persone, in silenzio, prima di sedersi a tavola. Un respiro comune, una energia incredibile. È il respiro di 1.300 persone che lottano tutte per uscire dalla droga, per recuperare se stessi. Quando la sera uscimmo, abbracciai al cancello mio figlio. Avevamo occhi pieni di lacrime e di gratitudine. Mio figlio è uscito da Sanpa dopo 4 anni. Quando è tornato a casa aveva la forza del mare e voglia di fare, non di farsi. Aveva imparato un mestiere, a Sanpa, ma aveva anche imparato a stare in piedi, a camminare facendo il suo percorso. Da allora non l’ho più perso. Sono pieno di meraviglia e ammirazione per lui. Quindi Sanpa, la serie Sanpa, e la comunità, che si dissocia. L’ho vista la serie. È davvero ben fatta, costruita benissimo, sicuramente onesta negli intenti. Io non ho conosciuto Muccioli. Posso quindi credere che la figura che ne esce, dalla serie, corrisponda al vero. Posso capire la lettura che ne fa Selvaggia Lucarelli, posso capire il fastidio, il mio stesso fastidio nel sentire e vedere un super-padre, questo bisogno ossessivo di difendere la comunità e quindi se stesso da ogni sbavatura, sento la forzatura di certi suoi discorsi, vedo e intuisco le crepe e gli strappi e non giustifico i morti, le botte, la violenza e forse la complicità”.

“Grazie Muccioli, hai la mia infinita gratitudine”

Vedo però anche il contesto; conosco quanto possa essere disperante avere un figlio tossico, la paura continua, la violenza, l’ansia e l’angoscia e quindi il bisogno lacerante di una soluzione a tutto quel dolore. Quello che ha permesso la nascita della Comunità che ha salvato mio figlio esce dal racconto di quell’uomo così chiaroscurale, che si credeva un santone, che si comportava da padreterno, che forse è complice di un crimine Quest’ uomo così sapientemente dipinto per essere il centro di una serie che non porta il suo nome, come dovrebbe, ma il nome di ciò che ha creato e che tuttora vive. Se si decide di puntare la luce su un fatto si deve essere consapevoli delle ombre. Ecco, la serie Sanpa ha forse questo limite: una lettura bidimensionale che fa finta di non avere priorità. Chi oggi conosce Sanpa, la vive e la giudica per quello che è riuscita negli anni a fare ed essere, anche e soprattutto grazie a Muccioli, e la gratitudine infinita che ognuno di noi ha provato e prova per la Comunità resta intatta”.