Garlasco, colpo di scena all’apertura dello scatolone: cosa non hanno trovato
È cominciato ufficialmente l’incidente probatorio che potrebbe riaprire uno dei casi giudiziari più controversi degli ultimi vent’anni: l’omicidio di Chiara Poggi. Negli uffici del gabinetto regionale della Polizia scientifica di Milano, alla presenza di periti, avvocati e magistrati, sono iniziate le operazioni tecniche destinate a riesaminare i reperti raccolti nell’agosto del 2007. È la fase decisiva dell’inchiesta bis che vede nuovamente al centro le tracce lasciate sulla scena del crimine e che potrebbe riscrivere quanto deciso dalla giustizia in oltre un decennio di processi.
La giudice per le indagini preliminari Daniela Garlaschelli ha disposto questo maxi incidente probatorio su richiesta della procura di Pavia, che ha aperto una nuova indagine sull’assassinio avvenuto nella villetta di via Pascoli a Garlasco. Un’indagine che, pur non cancellando la condanna definitiva inflitta ad Alberto Stasi, ruota ora attorno al nome di Andrea Sempio, amico della vittima all’epoca dei fatti. Proprio i consulenti della procura hanno indicato in nuove impronte digitali e tracce genetiche un possibile elemento per riaprire il caso, con l’obiettivo di chiarire una volta per tutte se le prove archiviate siano state correttamente interpretate e custodite.
Garlasco, sorpresa durante l’incidente probatorio
Ma i primi esiti dell’apertura dei sigilli ai reperti hanno riservato sorprese. Come riferisce l’Adnkronos, ci si attendeva di esaminare 35 fascette para-adesive, tra cui la cosiddetta “traccia 10” ritrovata all’interno della porta d’ingresso della casa e mai attribuita né a Stasi né a Sempio. Invece, gli esperti si sono ritrovati davanti non alle fascette, ma a fogli di acetato trasparente. È lì che il Ris di Parma, quasi diciotto anni fa, aveva raccolto le impronte digitali, trasferendole su questi supporti meno conservativi. Una scoperta che rimette in discussione la qualità della conservazione e quindi l’attendibilità degli accertamenti futuri.
E non è tutto. Sempre secondo quanto riportato dall’Adnkronos, all’appello manca anche un altro elemento cruciale: l’intonaco che conteneva l’impronta 33. Si tratta della traccia individuata sulla parete della taverna, quella che la procura attribuisce oggi ad Andrea Sempio. L’involucro che avrebbe dovuto contenere il campione grattato dal muro della villetta non è stato trovato all’interno degli scatoloni aperti. L’assenza del reperto limita drasticamente la possibilità di eseguire nuovi test diretti, lasciando come unica base le vecchie fotografie.
Alla luce di questi sviluppi, l’incidente probatorio in corso si preannuncia ancora più complesso. Il timore, ora, è che molti dei reperti non siano più utilizzabili per una rilettura scientifica realmente efficace. Il caso Chiara Poggi resta così sospeso tra ciò che è stato deciso dai tribunali e ciò che, forse, non è mai stato completamente chiarito.