Foibe, è morto Giuseppe Comand. L’ultimo testimone oculare dell’orrore

 

E’ morto a 99 anni Giuseppe Comand, l’ultimo testimone della tragedia delle foibe. Nel 1943 aveva assistito da vigile del fuoco ausiliario i Vigili del fuoco di Pola, nel recupero dei cadaveri degli italiani uccisi dai partigiani di Tito. Nato nel 1920 avrebbe compiuto il 13 giugno 100 anni.

Nel 2018 il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, gli conferì l’onorificenza di commendatore al merito della Repubblica.

Al Giornale ha raccontato come venne a conoscenza delle foibe nel 1943: “Dopo l’8 settembre la mia unità fu disarmata dai tedeschi a Pola. Il comandante riuscì a fare aggregare una squadra, compreso il sottoscritto, come prigionieri di guerra, ai vigili del fuoco locali, che dovevano recuperare i corpi. Non sapevo neppure cosa fosse una foiba. Quando a Pisino mi dissero che si trattava di profonde cavità piene di morti italiani scaraventati dentro dai partigiani, mi sembrò di impazzire. Io non mi calo nella foiba, piuttosto sparatemi. Non me la sento di fare il becchino di questi poveri disgraziati”.

Foibe, il racconto dell’orrore
Prosegue così il racconto dell’orrore di cui Comand fu testimone: «I primi morti, sette se non ricordo male, si erano fermati ad uno sbalzo di roccia a circa 70 metri di profondità. Le altre decine precipitarono fino sul fondo per circa 120 metri (72 italiani comprese 6 donne e 12 militari tedeschi,). Il maresciallo raccontava che era terrificante e sembrava di calarsi all’inferno. L’odore della putrefazione era così forte che si sentiva a chilometri di distanza. Il problema era recuperare i corpi straziati tenendoli il più possibile intatti. Nella foiba calavano le casse da morto in legno, ma i cadaveri si frantumavano e non era facile riportarli in superficie».

Comand partecipò anche alla riesumazione di Norma Cossetto, nella foiba di Villa Surani: “Il raggio della pila illuminò il corpo di una ragazza seminuda, che sembrava seduta sul fondo della foiba con la schiena appoggiata alla parete e la testa rivolta verso l’alto, come se sorridesse. Si trattava di Norma Cossetto, la studentessa istriana, torturata e violentata dai partigiani prima di venire infoibata”. Comand racconta ancora che nella foiba di Vines venne trovata pure l’ostetrica di Albona. “Sembra che molti anni prima fosse morto un nascituro ed il padre si è vendicato”.

Il pietoso pellegrinaggio dei parenti
All’estrazione dei corpi dalle foibe seguì il pietoso pellegrinaggio dei parenti per il riconoscimento: “L’odore terribile attirò dopo pochi giorni i familiari, che trovarono la famosa foiba di Vines. I miei compagni si calarono con delle tute in gomma di Marina, guanti fino al gomito e autorespiratori con le bombole sulla schiena. Si poteva resistere appena 30 minuti. Prima di iniziare l’operazione li costringevano a bere diversi sorsi di cognac per sopportare l’orrore. I corpi riesumati venivano allineati sul prato ed i parenti turandosi naso e bocca con i fazzoletti, per l’odore terribile della putrefazione, cercavano di riconoscere il congiunto fra scene strazianti di dolore e pianto. I volti erano quasi sempre consumati, ma il riconoscimento avveniva grazie ai denti, i resti dei vestiti o un pettinino”.

“Con la scomparsa di Giuseppe Comand – ha detto la deputata Pd Debora Serracchiani – perdiamo la memoria e la testimonianza diretta di quel che fu l’orrore delle foibe, e di quale pietosa opera si fecero carico coloro che riportarono alla luce i corpi straziati”.

 

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