Flotilla, familiari senza notizie da 32 ore: “Calci e schiaffi in porto, ora nel supercarcere nel deserto del Negev”
Cresce l’ansia e la preoccupazione tra i familiari degli attivisti italiani imbarcati sulla Freedom Flotilla, le navi umanitarie dirette verso Gaza. Da oltre 32 ore, infatti, non si hanno più notizie dei volontari, tra cui medici, infermieri, ricercatori e cittadini impegnati in una missione di solidarietà e denuncia delle condizioni nella Striscia.
Secondo fonti raccolte da Repubblica, le navi Conscience e ThousandMadleens sarebbero state intercettate da forze israeliane e condotte al porto di Ashdod. Qui, gli attivisti avrebbero subito violenze fisiche e psicologiche, con testimonianze che parlano di calci, schiaffi, strattoni e umiliazioni. Le vittime, tra cui anche cittadini europei provenienti da Spagna, Francia, Danimarca e Italia, sarebbero state costrette a stare inginocchiate con il volto a terra per ore, sotto insulti e minacce.
Al momento, funzionari italiani riferiscono di aver tentato di incontrare i detenuti senza successo: gli attivisti sono stati trasferiti nel supercarcere di Ketziot, nel deserto del Negev. I legali di Adalah, associazione per i diritti civili in Israele, hanno denunciato un trattamento «peggiore di quello riservato ai prigionieri di Bolzaneto nel 2001» e hanno accusato le autorità israeliane di violare il diritto internazionale.
Questa operazione è avvenuta in acque internazionali e in assenza di comunicazioni ufficiali, suscitando forti critiche e condanne da parte della comunità internazionale. Tra i volontari vi sono anche membri di organizzazioni umanitarie e alcune personalità del mondo accademico e medico, tutti impegnati nella missione civile “senza armi né obiettivi politici”, come sottolineano i familiari e gli organizzatari.
Tra gli italiani a bordo figurano Riccardo Corradini, chirurgo; Stefano Argenio, infermiere e rappresentante Cgil; Elizabeth Di Luca, pedagogista; Claudio Torrero, docente di filosofia e monaco buddhista; e Vincenzo Fullone, storico attivista. I loro cari sono in forte agitazione, mentre le autorità italiane finora sono rimaste in silenzio.
L’intervento internazionale si fa sentire: il ministro degli Esteri spagnolo José Manuel Albares ha annunciato che Madrid si è attivata “per il rilascio immediato dei cittadini europei detenuti”, mentre la presidente del Parlamento europeo Roberta Metsola ha espresso grave preoccupazione, chiedendo garanzie sul trattamento degli attivisti. Anche parlamentari di Francia, Danimarca e Turchia sono stati coinvolti, e alcuni di loro sarebbero già stati rimpatriati via Azerbaigian. Tuttavia, la sorte di altri, tra cui alcuni cittadini israeliani, rimane ancora incerta.
Il movimento ambientalista e antimilitarista “Ultima Generazione”, che include alcuni dei fermati italiani, ha protestato denunciando un “rapimento su suolo italiano”, poiché la nave Conscience portava bandiera italiana. La denuncia è forte: “Il silenzio delle istituzioni è complicità”, affermano, chiedendo con urgenza un intervento del governo e della comunità internazionale per la liberazione dei loro connazionali.
L’accaduto apre un nuovo capitolo drammatico nel contesto delle tensioni mediorientali, sollevando molte domande sulla legittimità delle operazioni e sui diritti delle persone coinvolte. La lotta per la libertà e i diritti degli attivisti prende ora una nuova dimensione, mentre il mondo si stringe attorno alle famiglie italiane in attesa di notizie.