Coronavirus, schiaffo agli ‘eroi’ in corsia: cancellati i fondi per i nuovi medici

Gli applausi di questi tempi si sprecano. Così come i doverosi ringraziamenti a chi in corsia combatte il coronavirus. I medici sono diventati gli “eroi” di cui il Paese sente il bisogno. Lo sono tutti i giorni, in realtà, ma stavolta almeno gli viene riconosciuto.

Anche Giuseppe Conte li ha definiti le “colonne portanti” dell’Italia, persone che “sono in prima linea e stanno compiendo sforzi straordinari”. A fronte di tanta accorata gratitudine, ci si sarebbe aspettati pari considerazione nei decreti varati in questi giorni dal governo. Ma stamattina i giovani dottori si sono svegliati con la brutta sorpresa di essere stati “scartati” dal “Cura Italia”: “Hanno cancellato all’ultimo i fondi per le borse di specialità”, denuncia il Segretariato Italiano Giovani Medici (SIGM). “Siamo davvero schifati: siamo eroi solo quando si fa propaganda”.

A Bergamo, Milano e nelle zone rosse colpite dal Covid-19, i medici restano in corsia anche 36 ore di fila. “Una prova di abnegazione pazzesca a fronte di organici inadeguati”, ha detto Filippo Anelli, presidente della Federazione nazionale dell’Ordine dei medici. Per coprire i turni servirebbe altro personale in corsia. Ma non c’è. Il motivo risiede nei pochi posti di specializzazione aperti negli ultimi anni: gli universitari studiano per 6 anni, si laureano, si abilitano alla professione e poi solo una piccola parte di loro riesce ad entrare nei corsi di formazione. Le stime parlano di circa 10mila persone bloccate nell’imbuto formativo: laureate sì, ma non utilizzabili negli ospedali. Solo guardie mediche, settore privato e servizi territoriali. “L’Italia in questo momento non é in carenza di dottori, i medici abilitati alla professione ci sono ed in abbondanza – racconta Francesca Martini, medico di Continuità Assistenziale presso Ausl di Bologna – A mancare davvero sono gli specializzati. E mai come in questo momento ce ne stiamo rendendo conto: per fronteggiare situazioni del genere servono anni di preparazione sul campo”.

Nel pieno dell’emergenza coronavirus, si era quindi parlato di aumentare di 5mila unità le borse di specializzazione così da mettere una pezza alla progressiva riduzione degli organici nei nosocomi. La misura era inclusa in una delle bozze del dl dedicato alla Sanità e circolate a inizio marzo. Lo riportavano sia il Quotidianosanità, di solito ben informato, sia l’agenzia stampa Adnkronos. “Al fine di aumentare il numero dei contratti di formazione specialistica dei medici – si leggeva – è autorizzata l’ulteriore spesa di 125 milioni di euro per ciascuno degli anni 2020 e 2021 e di 130 milioni di euro per ciascuno degli anni 2022, 2023 e 2024”. In totale, 5mila posti per quest’anno e 5.200 per quelli a venire.

Nella sua versione definitiva, approvata il 9 marzo, però, l’articolo è scomparso. Qualcuno pensava potesse rientrare dalla finestra nel dl “Cura Italia” varato ieri dal Cdm. Speranza vana. “A febbraio avevamo incontrato il ministro dell’Istruzione e ci aveva assicurato di voler lavorare per inserire un maggior numero di borse di specialità”, spiega al Giornale.it Emanuele Spina, componente dell’ufficio di presidenza del SIGM. Ma la fiammella delle aspettative è stata subito spenta. “Si vede che non l’hanno considerata una priorità. Ma in un momento del genere, in cui si evidenzia la carenza di medici negli ospedali, un intervento simile avrebbe giovato non solo nell’emergenza ma anche alla sostenibilità del sistema sanitario nei prossimi anni”. E invece a mancare è stato proprio lo sguardo “lungimirante” sugli specializzandi.

I giovani medici hanno scritto una lettera al presidente del Consiglio. “Il Servizio sanitario nazionale in questi giorni sta venendo fuori in tutta la sua fragilità – si legge nella missiva – nei prossimi anni un’emergenza come quella che si sta consumando in questi giorni non sarebbe gestibile”. Quando migliaia di medici andranno in pensione, infatti, non ci saranno abbastanza giovani per sostituirli (nel periodo 2018-2025 si stima un ammanco di 16.700 dottori). E già oggi, spiega Martini, “la maggior parte degli ospedali si regge sulla presenza in reparto di specializzandi, che dovrebbero essere lì solo per imparare e invece spesso si trovano ad essere lasciati da soli in corsia”.

È vero: i decreti hanno cancellato (l’inutile) esame di abilitazione per circa 10mila persone, che potranno iniziare a esercitare la professione subito dopo la laurea. Per il ministro Manfredi saranno “fondamentali per far fronte alla carenza”, ma non tutti la pensano così. “Da neo abilitati non si é pronti a gestire realtà cliniche in autonomia – spiega Martini – Usciamo dalle Università molto preparati a livello teorico, ma non a livello pratico”. Non è dunque l’abilitazione di massa la soluzione del problema, come si è voluto fa credere. “Li buttano nella mischia senza alcuna esperienza”, conferma Francesco, giovane dottore. In sostanza, “è una buffonata”. “Inneggiate all’eroismo e poi continuate a trattarci a pesci in faccia. Italia, che schifo”.