CORONAVIRUS, E’ ALLARME IN TUTTO IL SUD: STANNO AUMENTANDO I CONTAGI DI ORA IN ORA! Intere regioni hanno ospedali fatiscenti senza attrezzature e competenze. Ecco quelle più a rischio

Il Tribunale di Napoli si è arreso: da stamattina, tutti a casa per epidemia. Il Covid-19 è arrivato pure lì, a bordo di un giudice che era stato in Lombardia. In tutta la Campania i positivi sono 45, più 14 in un solo giorno. Il virus pianta la corona pure al Sud, e corrergli dietro tra ospedali colmi e carenza di medici è un’ impresa.

SALE IL NUMERO DEI CONTAGI NEL SUD (CON IL PICCO DELLA CAMPANIA, 41 CASI) E CRESCE L’ALLARME: LA SANITÀ MERIDIONALE È MENO ATTREZZATA E SCARSEGGIANO I POSTI DISPONIBILI NELLE TERAPIE INTENSIVE – COSA POTREBBE SUCCEDERE NEL CASO IL VIRUS DILAGHI OLTRE LA BARRIERA DI CAIANELLO? – “IN PUGLIA E CAMPANIA FORSE POTREMMO FARCELA, E ANCHE IN SICILIA. MA IN CALABRIA NO. E NON PARLIAMO DEL MOLISE…”

Siamo a 3.858 positivi totali in Italia ma “solo” 89 sotto il 42esimo parallelo. Dal Molise alla Campania fino a Puglia e Calabria, isole comprese, il coronavirus s’ è affacciato da poco. Ma avanza giorno dopo giorno. Più 20 martedì, più 16 mercoledì, più 24 ieri.

Le autorità sanitarie rincorrono i possibili contatti di ognuno, fanno tamponi, impongono quarantene. La vera trincea è lì. Se il virus sfonda, metterà il Paese in ginocchio insieme ai suoi mali endemici, ai bilanci senza fondo e ai tagli senza senno che spingono ogni anno migliaia di persone a farsi visitare e operare altrove.

«Se arranca la Lombardia, che non ha fatto tagli nei posti letto e ha il rapporto tra popolazione e ospedali maggiore d’ Italia, figuriamoci cosa può succedere al Sud, dove abbiamo enormi svantaggi in termini di attrezzature e di personale », dice Filippo Anelli, presidente della Federazione nazionale degli ordini dei medici.

«In Puglia e Campania forse potremmo farcela – dice Aneli – e anche in Sicilia potremmo riuscire a reggere come in Lombardia; ma in Calabria non credo proprio.

E non parliamo del Molise, dove la situazione in termini di personale e strutture è drammatica: serviranno ospedali da campo, dobbiamo utilizzare la sanità militare oltre a quella convenzionata».

Prima del coronavirus c’ erano 1.582 posti in terapia intensiva negli ospedali pubblici delle sette regioni del Sud e delle Isole. In tutta Italia sono 5.395. Certo, i 24 nuovi contagiati di ieri sono un’ inezia, rispetto ai 769 dell’ intero Paese; ma la progressione e la diffusione fanno paura. Oltre ai 45 positivi campani siamo a 18 in Sicilia, a 14 in Puglia.

«La situazione in Puglia è sotto controllo», ha detto ieri il capo della Protezione civile cercando di spegnere la miccia su quel funerale sciagurato, contagioso, su cui ora indaga persino la magistratura. «Diffusione di epidemia colposa», hanno scritto i giudici.

In Molise dove la mancanza di medici – tagliati dalla politica per contenere i costi – è un tale guaio che è raro persino riuscire a nascerci, siamo a sette contagiati: quattro in più, da ieri. Per fortuna non ci sono focolai, al Sud, e speriamo tutti che si chiuda la porta in tempo. Ma alcune decisioni drastiche, come chiudere le scuole e le università, paradossalmente nel Mezzogiorno rischiano di accelerare la corsa del coronavirus, riportando a casa tanti ragazzi e docenti che studiano e lavorano al Nord.

Intanto, ai medici al fronte «mancano mascherine, camici e visiere. Il ministro – dice Anelli – mi ha assicurato stamattina che la distribuzione alle Regioni è avvenuta, ma io continuo a ricevere segnalazioni da medici in tutta Italia ». Ma si può combattere così la guerra a un nemico che «ha già spedito un centinaio di medici generici in quarantena?».

LA MINACCIA AL SUD

Riccardo Pelliccetti per “il Giornale”

Il coronavirus avanza inarrestabile e il contagio si diffonde anche in quelle regioni che, fino a pochi giorni fa, guardavano il Nord del Paese come se fosse un lazzaretto. Il Covid-19 non conosce confini e sta unendo l’ Italia in un’ emergenza senza precedenti. Bisogna tornare alla Seconda guerra mondiale, infatti, per ritrovare disposizioni come la chiusura delle scuole, delle università o degli stadi. Ma più il contagio discende il Belpaese e più cresce la preoccupazione, non solo dei cittadini ma anche delle autorità politiche e sanitarie. I numeri ufficiali parlano chiaro, nell’ ultimo bollettino diffuso ieri i contagiati sono 3.858, i morti 148, i guariti 414.

E il Sud comincia a veder crescere il numero dei malati, con il picco della Campania che conta già 41 casi accertati. Le paure rilevate nei sondaggi si stanno concretizzando. Il recente rilevamento fatto dalla Nielsen Global Connect indicava infatti che sono gli abitanti del Meridione (23%) i più preoccupati dall’ epidemia, seguiti da quelli del Centro (15%) e del Nord (14%).

Il problema di questo virus, come ci hanno più volte ripetuto, è che cento volte più letale della normale influenza e «il 10% dei casi come ha spiegato nei giorni scorsi il professor Arnaldo Caruso, presidente della società italiana di Virologia hanno bisogno di terapia intensiva. La vera emergenza è legata ai posti letto negli ospedali che non basteranno a coprire tutte le richieste. E se questo è un problema al Nord, chissà cosa potrebbe succedere se l’ epidemia dovesse estendersi anche all’ Italia centro meridionale».

La sanità italiana, come hanno sottolineato sia l’ Ocse sia l’ Unione europea, subisce continui tagli da più di 10 anni e questa mancanza di risorse oltre che di personale fanno crescere la preoccupazione sulla nostra capacità di affrontare crisi improvvise, come quella del coronavirus.

E se questo vale in generale per l’ Italia, ha ancora maggior peso nel Mezzogiorno, dove il sistema ospedaliero ha dimostrato carenze strutturali e di assistenza anche nel far fronte al lavoro ordinario. Non è una novità, infatti, che molti abitanti delle regioni meridionali vengano negli ospedali del Nord Italia per curarsi o sottoporsi a interventi chirurgici. Non è un problema di malasanità, ma piuttosto di mala amministrazione della sanità, che si è distinta negli sprechi e nella scarsa valorizzazione del personale medico e infermieristico.

In Italia vi sono poco più di 5mila posti letto in terapia intensiva (e 1.100 in più per quella neonatale), in gran parte nelle aree urbane a più alta densità.

In Lombardia ci sono circa 900 posti letto (e ne stanno allestendo altri 150), in Lazio 550, in Veneto 500, in Emilia 440 e 250 in Piemonte. Di fatto queste cinque regioni da sole hanno quasi la metà dei posti letto dell’ intero Paese. Il viceministro della Salute, Pierpaolo Sileri, ha affermato però che i posti «negli ospedali destinati alla terapia intensiva sono al 90% già occupati». Se, come sottolineano scienziati e ricercatori, circa il 10% dei malati necessita della terapia intensiva, allora la soglia critica del collasso è di 50mila contagiati, a meno che non si corra urgentemente ai ripari aumentando i posti letto e assumendo nuovo personale sanitario. Ma dove trovare i soldi? Siamo in recessione oltre a essere il Paese più indebitato e questa epidemia non solo metterà a dura prova la resistenza del nostro sistema sanitario ma avrà anche ripercussioni economiche che peseranno nei mesi, se non gli anni, a venire.

Oltretutto, sembra che la nostra capacità diagnostica sia arrivata a un punto critico. Potremmo non essere in grado di conoscere l’ estensione del contagio, non solo perché molte persone possono essere inconsapevoli di aver contratto il virus, magari giudicando il malessere un semplice raffreddore che non meriti degli accertamenti, ma soprattutto per la crescita lenta dei tamponi eseguiti. Mentre si allarga l’ epidemia, di questi esami ne vengono fatti poco più di 2mila al giorno e per la maggior parte su malati sintomatici. I kit scarseggiano e gli esami costano. E quando toccherà alla sanità del Sud affrontare l’ epidemia ed effettuare diagnosi, la scarsità di risorse e la carenza assistenziale verranno ancora una volta alla luce. Non ci resta che prestare ascolto alle disposizioni degli esperti per frenare il contagio: stare a più di un metro di distanza dalle altre persone, evitare i contatti fisici e i luoghi affollati, lavarsi spesso le mani.