Vittorio Feltri e la guerra: “I miei ricordi della vita sotto le bombe, ecco come si sopravvive”

La guerra in Ucraina raccontata dalla tv e dai giornali ha risvegliato, in noi vecchiotti, ricordi che parevano sopiti. In certi filmati che giungono quotidianamente da Kiev e dintorni rivediamo scene che negli anni Quaranta ci erano familiari. Le sirene dell’allarme e il coprifuoco erano regole a cui eravamo avvezzi. In casa mia, come in quella di altri italiani, ai vetri delle finestre erano incollati fogli di carta blu, la stessa usata per avvolgere gli spaghetti dell’epoca, la quale aveva la funzione di oscurare, all’esterno, la luce fioca delle lampadine che avrebbe potuto indirizzare le bombe lanciate nottetempo da un aereo inglese in volo abitualmente su Bergamo ogni sera, ogni notte, denominato dalla gente Pippo, in realtà si trattava di un Piper. Nella mia abitazione abbastanza di lusso per quei tempi c’erano i caloriferi, ma erano rigorosamente freddi, spenti per mancanza di nafta, benché Putin non fosse ancora nato.

Una sera suona l’allarme e tutti gli inquilini del palazzo si precipitano giù dalle scale per correre nel rifugio ricavato dalle cantine. La fretta di trovare un riparo indusse uomini e donne a scendere saltando qualche gradino, rischiando così di inciampare e di cadere. Una folla frettolosa che non risparmiò qualche spintone alle persone più lente per guadagnare subito lo scantinato agognato. Si dà il caso che mia madre, avendo tre figli da portare con sé, non fosse particolarmente svelta a raggiungere il luogo dove stare al sicuro. Cosicché una nostra vicina, allora giovanissima, si offrì di prendere in braccio me, che ero molto piccolo, per portarmi in salvo. Lo fece con slancio, forse troppo data l’urgenza, ed essendo inciampata in un gradino, ruzzolò a terra fratturandosi un arto. Ciò nonostante, la ragazza riuscì mirabilmente, alzando le braccia che mi stringevano, a far sì che io non subissi alcun trauma. Lei fu ingessata, io incolume. La signorina si chiamava, e spero sia ancora viva, Lidia Moretti, la quale a conflitto ultimato fu la mia maestra. Le sarò grato in eterno.

Ho raccontato questo episodio marginale per dire che nel marasma della guerra si registrano anche slanci di generosità. Tra l’altro mi sembra che sotto gli attacchi bellici non sia mai cambiato niente. Oggi i russi sparano nel petto agli ucraini che non conoscono neppure, invece coloro che hanno ordinato di premere il grilletto si conoscono benissimo ma non si uccidono tra loro. Un vero peccato che muoiano dei giovani obbligati a sparare, mentre i vecchi che impongono di aggredire se ne stanno accovacciati sul divano. Mio fratello Ariel, che ha qualche anno più di me, nel 1944 frequentava la prima elementare, e aveva un compagno di classe figlio di un casellante della ferrovia. Tornando in famiglia al termine delle lezioni, fu falciato da un mitragliamento lungo la strada ferrata. Era un bimbo. Certi fatti non si digeriscono benché risalgano alla notte dei tempi. Ogni volta che lo incontro, il mio fratellone mi racconta come fosse nuova la vicenda dello scolaro amico suo e ammazzato come una lucertola, e io gli ricordo l’eroismo domestico di Lidia Moretti che non vedo da vari lustri, non so che fine abbia fatto, e pensando a lei mi si inumidiscono gli occhi. Morale. La nostra memoria ci restituisce brutte storie antiche, quelle della guerra. E adesso che abbiamo l’età per andare nella tomba siamo ancora qui a fare i conti coni cannoni. Il mondo non cambia mai, talvolta peggiora.