“Vi svelo i trucchi della sinistra per dare le case agli immigrati”

Il “percorso intrapreso” per ora ha portato i suoi frutti. I detrattori potranno chiamarlo razzismo, fascismo, discriminazione.

Ma per Claudio D’Amico gli “atti dissennati” li facevano i suoi predecessori, non lui. Da quando si è seduto sulla poltrona di assessore al Comune di Sesto San Giovanni, la situazione sull’assegnazione delle case popolari si è stravolta. In favore degli italiani.

A dimostrarlo ci sono i numeri. “Nel 2016 la sinistra aveva assegnato 32 alloggi, di cui 29 a stranieri”, spiega al Giornale.it. Nel 2017, dopo la “caduta” della Staligrado d’Italia, la proporzione si è ribaltata: “Noi abbiamo consegnato più appartamenti di loro, ben 39, e solo due di questi sono finiti ad immigrati”. Il cambio di passo è notevole.

Ma quello che a D’Amico preme sottolineare è il “sistema” delle case popolari nato a Sesto San Giovanni, una macchina che per anni ha “divorato” milioni di euro (pubblici). “Le giunte precedenti – rivela l’assessore – assegnavano gli immobili senza seguire i bandi e giustificando il tutto con la scusa dell’emergenza abitativa”. Una sorta di “trucco”. “Non tenevano conto delle graduatorie – aggiunge -, ma le attribuivano senza una logica. Bastava avere figli o una moglie incinta e il gioco era fatto”. Quando poi non vi erano più alloggi liberi di proprietà del Comune o di Aler, Sesto “firmava una psudo-convenzione con una fondazione per affittare oltre 20 appartamenti al costo di 1.700 euro l’uno”. Inoltre “affittava case a prezzi più alti del mercato e le dava in locazione a persone, in buona parte immigrati, che poi non pagavano il canone calmierato”. Altre famiglie, infine, “le mettevano negli alberghi”. Costo totale: “Un milione e mezzo di euro all’anno”. Non proprio spiccioli.

Quando si sono trovati di fronte alle carte, il sindaco Roberto Di Stefano e la giunta hanno deciso di inviare tutti i documenti alla Corte dei Conti. Intanto, però, hanno provato a mettere in atto quella che definiscono una “rivoluzione”. “In un anno – spiega D’Amico -, assegnando più case popolari di loro, siamo riusciti a ridurre le spese fino a 350mila euro l’anno”.

Per centrare l’obiettivo, l’assessore ha solo preteso che venisse applicata la legge senza distinzioni. Gli alloggi possono essere assegnati solo a chi dimostra di non avere proprietà in altre regioni o Stati, ma mentre un italiano era costretto a presentare i documenti catastali, all’immigrato bastava allegare una semplice autocertificazione. Con il paradosso che un tunisino, magari proprietario di una villa a Tunisi, finiva con lo scavalcare il povero italiano. “Ho imposto che venisse controllata la sussistenza di un’abitazione all’estero”, spiega D’Amico. “E ho dato indicazione di non considerare valida neppure l’autocertificazione”. Un cavillo? “No, è la legge”.

Il fatto è che molti Stati non hanno un catasto nazionale e per i cittadini stranieri diventa difficile, se non impossibile, produrre i documenti richiesti dal bando. “Che facciano rimostranze nel loro Paese – ribatte l’assessore – Se non lo portano, restano fuori”. Una cittadina dell’Ecuador ha fatto ricorso, ma il Tar ha dato ragione al Comune: la normativa è questa e va applicata. Fine dei giochi.

“I risultati sono straordinari e finalmente riequilibrano ingiustizie portate avanti da troppo tempo”, conclude D’Amico allontanando le accuse di razzismo o discriminazione. “Gli stranieri sono una minoranza: non possono pensare di incassare la maggioranza delle assegnazioni del welfare. Prima vengono gli italiani”.