“Tratta di esseri umani”: dall’Italia parte la prima denuncia all’Aja alle navi Ong “scafiste”

Le navi delle varie ONG che negli ultimi anni si sono date la mission di “salvare le vite umane” in mare, stanno giocando un ruolo importante nel contesto di questi flussi. Di fatto, sono l’anello finale di un percorso, iniziato nei paesi d’origine, che permette ai migranti di mettere i piedi sul suolo italiano e di raggiungere quindi l’agognata meta.

Tuttavia in Italia c’è chi non esita a considerare questo spostamento di persone una “tratta” con tutti gli attributi penali del caso.

Due avvocati del foro di Milano Giuseppe Pellegrino e Alberto Ferrari, infatti, hanno deciso  di presentare al Tribunale Internazionale dell’Aja denuncia, la prima, contro la “tratta” dei migranti, nella quale viene anche contemplata la complicità delle navi ONG.

Sputnik Italia ha raggiunto l’avvocato Giuseppe Pellegrino, presidente di “Civitas” per ulteriori ragguagli su questa azione giudiziaria.

– Avvocato da dove nasce l’idea di denunciare le navi ONG che trasbordano i migranti in Italia?

– L’idea si è sviluppata nel tempo. Il nostro punto di partenza è stata la voce di alcuni migranti, una cinquantina, tutti partiti da paesi dell’Africa Occidentale: Senegal, Gambia, Guinea Conakry e Guinea Bissau, Mali, Costa d’Avorio, Ghana e Nigeria. Nel loro vissuto, escluse poche eccezioni, non ci sono state esperienze di combattimento riconducibili a conflitti armati od insorgenze locali. Tutti hanno vissuto, tuttavia, esperienze traumatiche durante il viaggio verso l’Italia: un viaggio da cui, con ogni probabilità, nessuna persona di etnia europea, per quanto fisicamente resistente, sarebbe riuscita a sopravvivere.

La peculiarità di questo viaggio, organizzato con la connivenza di organizzazioni criminali, compagnie private di trasporti, forze armate e dell’ordine di paesi con cui l’Unione Europea intrattiene regolari relazioni internazionali, tribù in conflitto tra loro, è il punto di arrivo: un luogo imprecisato del Mediterraneo, ove le ONG svolgono operazioni di “ricerca e soccorso”, più correttamente qualificabili come di “recupero e trasporto” per completare il trasferimento fino al territorio europeo.

– Quali sono le ONG che Lei ha denunciato?

– Le ONG che hanno compiuto operazioni di “recupero e trasporto” dal settembre 2019 in avanti; ad oggi sono sei: Salvamento Marítimo Humanitario, Sea-Eye, Mediterranea Saving Humans, Mission Lifeline, SOS Méditerranée, Sea-Watch.

Il reato di “tratta degli esseri umani”

– Perché secondo Lei siamo davanti al reato di “tratta degli esseri umani”?

– Il reato di tratta si realizza con il concorso di due elementi: la riduzione in schiavitù ed il trasporto della persona da un luogo all’altro; e la prima è funzionale al secondo. Si può essere trasportati nella misura in cui si paga comunque un prezzo e si può pagare un prezzo nella misura in cui si è ridotti in schiavitù.

Il “passeggero” non può infatti permettersi di pagare anticipatamente il prezzo del trasporto e non per una ragione economica: non può farlo perché altrimenti il trafficante non avrebbe più interesse alla sua sopravvivenza e non esiterebbe ad abbandonarlo o a venderlo nel corso del viaggio per ottenere ancora più denaro.

Non può, inoltre, permettersi di portare il denaro con sé, perché diventerebbe un facile bersaglio della violenza non solo dei trafficanti, ma anche di qualche altro migrante disperato perché rimasto senza denaro.

Ed allora è costretto a procacciarsi il denaro lungo il percorso, potendo farlo in due soli modi: ottenendolo dalla famiglia o prestando lavoro – o attività sessuale – in condizioni servili.

Il flusso di denaro può avvenire anche tra trafficanti: non sono rari i casi in cui dei trafficanti “a valle” lungo il percorso acquistino dei migranti dai colleghi “a monte”, versando loro cifre in contanti. Questa è l’ipotesi in cui maggiormente evidente è la riduzione della persona alla condizione di res, ovvero di cosa mobile liberamente commerciabile. E l’interesse all’acquisto sta nella possibilità di sfruttamento economico che il trafficante può trarre dalla propria vittima: a partire dalle estorsioni ai danni delle famiglie per giungere allo sfruttamento della prostituzione o del lavoro servile. Nei casi più disperati, quando manchi la disponibilità economica ai familiari per riscattarlo, o manchino le energie per svolgere attività lavorativa, il migrante può essere ancora utilizzato per un ultimo scopo: il dominio sugli altri migranti per mezzo del terrore. Ed allora può ben capitare che alcuni ostaggi siano torturati, mediante la frattura degli arti e l’ustione del corpo, al fine di rendere ancora più convincenti le implorazioni degli altri migranti alle rispettive famiglie perché paghino il loro riscatto.

Un ultimo dato va preso in considerazione per comprendere la portata del fenomeno: nella generalità dei casi le famiglie non hanno la capacità di effettuare pagamenti a distanza. Gli estorsori situati in Libia si servono di complici con basi nei paesi di partenza per riscuotere in contanti i riscatti versati dalle famiglie.

– Quali sono gli elementi normativi ai quali Lei fa riferimento? In altre parole quali secondo Lei i reati contemplati?

– La nostra azione si concentra sul crimine di tratta di esseri umani, che è il motore che attiva l’interesse alla consumazione di ogni ulteriore violenza a partire dall’omicidio, lo stupro, la tortura. Si tratta di un illecito che rileva non solo ai fini dei singoli ordinamenti nazionali, ma anche come crimine contro l’umanità, come tale previsto e punito dallo Statuto di Roma, che ha dato vita alla giurisdizione della Corte Penale Internazionale.

La criminalità internazionale, che si manifesta nelle quattro principali fattispecie di genocidio, crimini contro l’umanità, crimini di guerra ed aggressione, è un fenomeno che trascende la consueta responsabilità individuale del singolo autore del reato, per coinvolgere l’intera comunità di appartenenza che vi assiste senza prendere posizione.

Nel caso dell’Italia, paese di frontiera nel traffico degli schiavi ed anch’esso responsabile delle forme di sfruttamento che proseguono anche sul suo territorio, il pericolo è duplice: non solo di assumere passivamente una responsabilità giuridica, politica, e persino storica, ma anche di subire passivamente una degenerazione del grado di civiltà sul proprio territorio.

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