Strage di Bologna, grave minaccia del Pd Bolognesi a Grassi: guai a parlare di pista palestinese

«Di nuovo viene tirata in ballo la pista palestinese per intralciare indagini e confondere l’opinione pubblica. È normale che lo facciano gli avvocati degli imputati, ma quando si cimenta, in questa operazione, gente che si dice di sinistra non è facile. Noi non guarderemo in faccia nessuno, andremo avanti per la nostra strada e faremo in modo che i nostri avvocati perseguano fino in fondo questi personaggi di qualsiasi partito siano»: sono esplicite, gravissime e violente le minacce e le intimidazioni che l’ex-parlamentare Pd, Paolo Bolognesi, oggi presidente dell’Associazione parenti delle vittime della strage di Bologna lancia contro chiunque si permetta di mettere in dubbio le risultanze giudiziarie sull’attentato del 2 agosto 1980 ipotizzando la pista palestinese che sta emergendo in questi mesi.

Bolognesi sembra proprio riferirsi con le sue minacce, in particolare, al suo ex-compagno di partito, l’ex-parlamentare pd pugliese Gero Grassi che, proprio recentemente, dalle colonne della Gazzetta del Mezzogiorno, ha detto di non poter rivelare, in quanto vincolato dal segreto, ciò che ha letto fra gli atti della Commissione Parlamentare Moro come commissario ma che quegli atti, in cui si parla, fra l’altro, del cosiddetto Lodo Moro e dei rapporti fra i palestinesi e il governo italiano dell’epoca, tenuti dal capocentro del Sismi, colonnello Stefandenuncio chio Giovannone, disegnano un’altra verità e, quindi, andrebbero desecretati.

«Da membro della Commissione d’inchiesta Moro, sono tenuto al segreto di Stato sugli atti che ho potuto consultare su quella vicenda. Non potrei dire nulla né in Tribunale e né in una sede parlamentare – avverte Gero Grassi – Bologna arrivò dopo la strage di Ustica e dopo la morte di Aldo Moro. Il tributo di sangue di Bari fu straziante. La famiglia Diomede Fresa fu dilaniata, si salvò solo la figlia rimasta a Bari quel giorno. A distanza di 39 anni si impone una revisione di giustizia».

Parole che hanno fatto imbestialire il suo collega di partito Bolognesi, anch’egli commissario nella Commissione Parlamentare d’inchiesta sul rapimento e sulla morte di Aldo Moro.

«Dopo lo scoppio, il presidente del Consiglio Francesco Cossiga – ricorda Gero Grassi – accusò i neofascisti. Poi, quando era al Quirinale, chiese scusa a Giuseppe Tatarella, allora capogruppo del Msi, e disse che era una vicenda internazionale. E aggiunse: “Fui depistato dai nostri servizi”. Il magistrato Mancuso dice che il depistaggio su Bologna iniziò qualche minuto dopo la strage. Il depistaggio di Moro iniziò subito dopo, come per Ustica e Borsellino: queste stragi dunque hanno limiti che non abbiamo ancora definito».
Di qui la proposta di desecretare i documenti della Commissione Moro dove si parla, fra l’altro, proprio delle minacce di ritorsioni e attentati formulate all’Italia dai palestinesi e dei rapporti che l’ex-capocentro del Sismi a Beirut, Stefano Giovannone, fedelissimo di Aldo Moro, teneva, per conto dello Stato italiano, con i vertici dell’Fplp, il Fronte Popolare di Liberazione della Palestina nel tentativo di contenerne le intimidazioni esplicite.

«Cossiga per la bomba di Bologna cita il “lodo Moro” con disprezzo nei confronti dello statista di Maglie – ricorda ancora Grassi – è un accordo tra Italia e irredentisti palestinesi dove si consente ai combattenti in guerra con Israele di far passare, sul nostro suolo nazionale, armi dietro preavviso ai nostri servizi segreti. Cossiga evoca il “lodo Moro” per dare una pista, mentre sui condannati Mambro e Fioravanti, dice, con linguaggio criptico, che sono estranei alla strage. Bisogna decidere cosa far prevalere: la verità o la ragione di Stato?».

Parole che per Bolognesi suonano quasi come un affronto personale. Di qui la grave minaccia a Gero Grassi agitando, come una clava, nel corso del suo intervento, il nuovo reato di depistaggio, introdotto nel 2016: «Vedo qui, in sala, David Ermini, (anch’egli ex-parlamentare Pd paracadutato da Renzi, di cui è amicissimo e conterraneo di Figline Valdarno, sulla poltrona di vicepresidente del Csm, ndr) e non posso che ricordare il grande impegno per la legge sul depistaggio che ora non è più un vocabolo ma un reato».

Una intimidazione, quella di Bolognesi, che Gero Grassi respinge con fermezza: «Io non ho mai parlato della pista palestinese. Bolognesi lo rispetto e può dire quello che vuole, ci mancherebbe altro, non deve chiedere il permesso a me. Io dico solo che se desecretiamo le carte finiamo la disputa su quello che contengono. Io non ho una pista o un’idea da difendere. Io chiedo la desecretazione delle carte, perché, desecretandole, ognuno potrà farsi la sua idea e la magistratura potrà lavorare sui fatti e non sulle ipotesi, tutto qua».

«Le intimidazioni di Bolognesi a Gero Grassi sono inaccettabili – tuonano i deputati Federico Mollicone e Paola Frassinetti, promotori dell’Intergruppo “2 agosto. La verità, oltre il segreto sulla strage di Bologna” al quale hanno aderito esponenti di diversi partiti fra cui anche lo stesso Gero Grassi – Bolognesi la smetta di parlare da esponente politico, mantenga equilibrio e terzietá nello svolgimento del suo ruolo di presidente dell’associazione delle Vittime».
«Grassi – dicono i due parlamentari di FdI – è uomo onesto intellettualmente e di grande coraggio, e per questo gli riconosciamo il giusto tributo».

Quanto alla pista palestinese «ha riscontri solidi, confermati dai componenti delle Commissioni di inchiesta che hanno visionato i cablogrammi inviati da Giovannone, in cui sarebbe contenuta l’avvertenza dell’allora responsabile dei servizi segreti a Beirut – e principale contatto con i movimenti palestinesi – di eventuali ritorsioni per l’arresto di Abu Anzeh Saleh e la rottura del cosiddetto “Lodo Moro”».

«Nella Relazione conclusiva della Commissione “Moro 2” approvata dal Parlamento – ricordano Mollicone e Frassinetti – «una delle principali acquisizioni è giunta dagli approfondimenti sulla dimensione “mediterranea” della vicenda Moro, con particolare riferimento agli accordi politici e di intelligence che fondavano la politica italiana, in particolare nei riguardi del Medio Oriente, della Libia e della questione israelo-palestinese. Gli approfondimenti sul ruolo dei movimenti palestinesi e del centro Sismi di Beirut hanno consentito di gettare nuova luce sulla vicenda delle trattative per una liberazione di Moro e sul tema dei canali di comunicazione con i brigatisti, ma anche di cogliere i condizionamenti che poterono derivare dalla collocazione internazionale del nostro Paese e dal suo essere crocevia di traffici di armi con il Medio Oriente, spesso tollerati per ragioni geopolitiche e di sicurezza nazionale».