Stipendio in ritardo: c’è un termine entro cui va versata la busta paga?

Stipendio in ritardo: c’è un termine entro cui va versata la busta paga?

Il datore di lavoro ha l’obbligo di versare lo stipendio entro il mese successivo. In caso contrario il dipendente può procedere con una diffida, con una conciliazione presso la Direzione del Lavoro o con un decreto ingiuntivo.

Ormai ci siamo così tanto abituati ai ritardi nei pagamenti da non fare più caso a quando un bonifico arriva qualche giorno dopo rispetto alla data concordata.

Quando però si parla di stipendi – stipendi che, a volte, consentono di raggiungere a stento la fine del mese – anche ventiquattr’ore di ritardo possono fare la differenza e segnare la mora con la rata dovuta alla banca, il protesto di un assegno o il distacco della luce.

 

 

 

Di strumenti legali per costringere l’azienda a versare la busta paga ve ne sono svariati (leggi Se il datore non ti versa lo stipendio: 9 cose che devi sapere)

ma a partire da quale momento il dipendente può iniziare a fare la voce grossa e fino a quando è tenuto invece ad aspettare prima di poter agire per ottenere ciò che gli spetta?

In altre parole, in caso di stipendio in ritardo, c’è un termine entro cui va versata la busta paga?

Il Ccnl è il punto da cui partire

Generalmente il pagamento della retribuzione deve avvenire ogni mese, ma si possono concordare tempi diversi.

In ogni caso, a stabilire qual è la scadenza per il pagamento dello stipendio – ossia il termine ultimo entro cui la busta paga deve essere accreditata al lavoratore – sono i contratti collettivi.

Non esiste una legge generale e valida per tutte le categorie di dipendenti. Questo significa che per stabilire qual è il termine entro cui va versata la busta paga bisogna innanzitutto leggere il proprio Ccnl di categoria.

In esso si trova il limite entro cui è lecito perdonare un ritardo nel pagamento dello stipendio. Oltre tale data, il datore di lavoro è automaticamente in mora ed è tenuto a versare gli interessi.

La maggior parte dei contratti collettivi attualmente approvati stabilisce, come termine entro cui va versata la busta paga, il giorno 10 del mese successivo a quello lavorato.

Tanto per fare un esempio, il mese di settembre va accreditato entro il 10 di dicembre. Altri contratti collettivi prevedono invece il giorno 5 del mese successivo a quello lavorato.

Altri ancora prevedono quale termine ultimo per pagare lo stipendio il giorno 27 dello stesso mese lavorato; ad esempio, la busta paga di settembre andrà versata entro lo stesso 27 settembre.

 

 

Regola eccezionale vale per lo stipendio di dicembre e per la tredicesima: in questo caso il pagamento della busta paga deve avvenire entro il 12 gennaio dell’anno successivo.

Se lo stipendio arriva tardi è meglio non partire subito con l’azione legale

La data entro cui deve avvenire il pagamento dello stipendio si riferisce a quella della materiale disponibilità della somma sul conto del dipendente e non a quella in cui l’azienda dispone il versamento.

Questo concetto è molto importante tutte le volte in cui la busta paga viene erogata tramite bonifico: operazione in cui – come noto –

la data di esecuzione dell’ordine non corrisponde mai a quella in cui il dipendente può materialmente prelevare l’importo dal proprio conto corrente.

 

 

Ricapitolando, se si ha il sospetto di aver ricevuto lo stipendio in ritardo, per stabilire qual è il termine entro cui va versata la busta paga bisogna far riferimento al contratto collettivo nazionale di lavoro o, in assenza, agli accordi aziendali.

Se in nessuna di tali fonti è stabilita la data di pagamento dello stipendio, questo va accreditato alla fine di ogni mese, ossia il 30 o il 31.

Che fare se lo stipendio viene pagato in ritardo?

Le soluzioni per ottenere il versamento dello stipendio devono essere valutate secondo una logica di conflittualità “crescente” per non accentuare il contrasto con l’azienda che potrebbe pregiudicare inutilmente il rapporto.

È quindi opportuno (ma non giuridicamente necessario) seguire i seguenti passi, secondo questa scala:

sollecito di pagamento bonario inviato con raccomandata a.r. o pec (posta elettronica certificata).

 

 

Meglio se a spedire la lettera è il dipendente che dovrà ricordare all’azienda di non aver ricevuto il versamento dello stipendio;

lettera di diffida a firma dell’avvocato con preavviso di azioni legali, inviata con pec o con raccomandata a.r.;

conciliazione presso la direzione territoriale del lavoro. Si può optare per il cosiddetto «tentativo di conciliazione monocratico» che è rivolto a sollecitare un’ispezione all’azienda.

Questo procedimento, gratuito, può essere attivato direttamente dal lavoratore senza assistenza di sindacati o avvocati.

È sufficiente recarsi alla Direzione del Lavoro e presentare l’esposto all’ispettore il quale convocherà l’azienda e tenterà di definire la morosità con un incontro tra le parti.

In alternativa è possibile procedere a una richiesta di conciliazione in presenza dei sindacati del lavoratore e dell’azienda; il verbale è titolo esecutivo, ma non comporta sanzioni per l’azienda;

richiesta di decreto ingiuntivo in tribunale. La procedura può essere attivata solo dall’avvocato. È un ricorso che si ottiene presentando il contratto di lavoro.

Il giudice emette l’ingiunzione solo sulla base della prova scritta del credito, senza convocare la controparte. Nei 60 giorni successivi, il decreto va notificato all’azienda la quale, entro 40 giorni, può fare opposizione oppure pagare. Se né paga, né si oppone si procede al pignoramento.

Se il lavoratore ha proposto azione giudiziaria, il giudice, nel pronunciare la sentenza di condanna del datore di lavoro al pagamento di somme per crediti di lavoro, deve determinare sugli stessi:

gli interessi nella misura legale (0,1% dal 10 gennaio 2017);
l’entità della rivalutazione monetaria.

Il pagamento di interessi e rivalutazione è disposto d’ufficio senza, quindi, la necessità di alcuna domanda specifica da parte dell’interessato.

Poiché gli interessi e la rivalutazione costituiscono una componente essenziale dell’obbligazione, anche ad essi si applica il regime prescrizionale relativo al credito base, con decorrenza dal momento del ritardo nella corresponsione del capitale.

Ritardo nella consegna della busta paga

In caso di mancata o ritardata consegna al lavoratore della busta paga, di omissione o di inesattezza delle registrazioni in essa contenute, sono applicate al datore di lavoro le sanzioni amministrative da 150 a 900 euro.

Se le omissioni o inesattezze della busta paga o la mancata o ritardata consegna della stessa si protraggono per più mensilità è possibile applicare, in sede di ordinanza-ingiunzione, la sanzione prevista per la violazione più grave aumentata sino al triplo.

Se la violazione si riferisce a più di 5 lavoratori o a un periodo superiore a 6 mesi la sanzione va da € 600 a € 3.600. Se la violazione si riferisce a più di 10 lavoratori o a un periodo superiore a 12 mesi, la sanzione va da € 1.200 a € 7.200.