Schlein sfida l’Europa sulle spese militari: rischio scissione nel Pd, Franceschini all’attacco
Elly Schlein rompe gli schemi e impone la sua linea: il Partito Democratico non voterà il piano europeo che mira a portare le spese militari al 5% del PIL entro il 2035, inclusi i investimenti in cybersicurezza. Una posizione netta, dettata da motivazioni pacifiste, che riflette l’orientamento del governo spagnolo di Pedro Sanchez — favorevole a una certa autonomia rispetto alla linea NATO — ma che rischia di esasperare le tensioni all’interno del partito.
Una minoranza pronta alla rivolta
Secondo indiscrezioni interne al Nazareno riportate da affaritaliani.it, una fasce consistente dell’area riformista – tra cui figure come Pina Picierno, Giorgio Gori, Pierfrancesco Maran e forse anche Stefano Bonaccini – sarebbe pronta a dissociarsi dalla linea di Schlein, preferendo allinearsi con i socialdemocratici tedeschi dell’SPD e i popolari europei di Ursula von der Leyen. Questa frattura potrebbe preludere a una scissione che porterebbe l’intero partito a un passo dal caos, con alcune voci che avanzano l’ipotesi di un nuovo laboratorio politico come Azione di Carlo Calenda, più orientato ai valori liberal-progressisti vicini a Emmanuel Macron.
Le strategie di Schlein
La posizione adottata dalla segretaria sembra infatti essere mossa anche da calcoli elettorali. Mantenere un profilo di sinistra serve a contenere le pulsioni di Giuseppe Conte, dell’Alleanza Verdi e Sinistra, evitando che il partito si frammenti ulteriormente o si indebolisca tra gli elettori di centrosinistra. Tuttavia, questa scelta rischia di lasciare spazio ai populismi di destra e di indebolire la presenza del Pd nel campo moderato, quello che ha sempre fatto da leva nelle tornate elettorali.
Il fronte degli alleati interni
A complicare il quadro, arriva anche l’intervento di Dario Franceschini, che rompe il silenzio e si schiera apertamente a favore del centro: “Il Pd vince con il centro, non inseguendo Conte”, ha dichiarato. La sua nota è considerata un segnale di resa dei conti imminente, dato che alle primarie aveva sostenuto Schlein, e ora afferma che “il leader” dovrebbe essere scelto tra candidati moderati come Manfredi o Salis.
Le sue parole vengono interpretate come una chiamata a rilanciare l’alleanza tra il Pd, Azione e Italia Viva, retropoli di un modello più moderato e centrista, lasciando invece all’ala più radicale il compito di agire ai margini o all’opposizione.
La minaccia di una scissione
Il rischio di una scissione torna d’attualità mentre il partito si avvicina alle elezioni regionali, un momento delicato che potrebbe mettere in crisi la compattezza del Pd. Le tensioni tra chi spinge per una linea più aperta e dialogante con l’Europa, e chi invece intende seguire un’onda più pacifista e critica verso le spese militari, sono ormai evidenti.
Schlein appare decisa a mantenere la propria linea, anche a costo di rischiare l’isolamento interno. Tuttavia, la questione centrale resterà: quanto potrà resistere un partito spaccato, tra una segretaria che guarda a Pedro Sanchez e una minoranza che si colloca nel solco di Scholz e Macron?
In bilico tra unità e divisione
Il panorama interno al Pd appare sempre più fragile, e il rischio che questa frattura si approfondisca potrebbe avere ripercussioni pesanti sulla sua tenuta futura. La partita sulle scelte europee e militari rappresenta, ormai, il vero casus belli tra chi vuole mantenere saldo il centro e chi invece mira a una linea più netta sulla diplomazia e la difesa collettiva.