Salvini cena con i detenuti: “Cancello il rito abbreviato”
Fa selfie a grappoli con gli agenti e poi, in cucina, con Davide. Lo chef, un detenuto in mezzo ad altri carcerati.
Matteo Salvini arriva nel carcere di Bollate nel giorno in cui il Parlamento approva la legge sulla legittima difesa: «Oggi facciamo festa per una legge importantissima». Flash e strette di mano, poi il vicepremier si siede a tavola in un ristorante celebrato persino dal New York Times: InGalera. Lavoro e rieducazione, i condannati che preparano i piatti e li portano in tavola. Alle pareti grandi poster di classici del cinema: da Fuga da Alcatraz a Le ali della libertà.
Il ministro dell’Interno approva: «In genere nelle carceri italiane la recidiva è del 70 per cento, qua siamo sotto il 20 per cento». «Siamo al 16 per cento», specifica Annalisa Chirico che con l’associazione Fino a prova contraria ha inventato la serata e ha messo insieme in quest’ambiente così particolare, oltre i confini della società civile, magistrati, avvocati, accademici.
Don Gino Rigoldi, cappellano del Beccaria, punzecchia il ministro: «Matteo è un tamarro del Giambellino». «No, di Bande Nere», replica lui sorridendo e riferendosi al quartiere di Milano in cui è cresciuto. «Devi usare espressioni più delicate – lo incalza il sacerdote – non si può dire di una persona che deve marcire in galera». Concetto ribadito dalla Chirico: «Un uomo di Stato non usa queste espressioni e poi una persona è più della sua pena». Salvini glissa: «Obbedisco. Cercherò di non urtare la vostra sensibilità. E poi ogni persona che entra qua deve avere la possibilità di non ricascarci. Bollate è un modello che dev’essere moltiplicato. Non ci ero mai venuto, ma un conto è leggere, altra cosa è venirci».
Qualcuno gli chiede della castrazione chimica e Salvini si dimentica per un attimo dei buoni propositi: «Questi schifosi devono essere curati e devono stare qua dentro». Pure Cesare Battisti che ha appena confessato i quattro omicidi di cui era accusato: «Lo dico garbatamente, resterà in carcere fino all’ultimo dei suoi giorni».
Insomma, un po’ di galateo, ma la sostanza non cambia anche se il vicepremier è molto colpito dalla forza di questa esperienza straordinaria che rompe gli schemi fra il bene e il male ed è la miglior vetrina di marketing dietro le sbarre e la più luminosa promessa di cambiamento. Arriva il salmone, Salvini accenna alla riforma della giustizia, qualcuno gli fa notare che anche su questo fronte il vicepremier si sta allargando: «Lungi da me qualunque polemica con il collega Bonafede». Sì, il Guardasigilli Alfonso Bonafede. «Anzi – aggiunge il vicepremier rivolgendosi in tono di sfida al direttore del Giornale Alessandro Sallusti che considera disastrosa la navigazione dell’esecutivo – questo governo durerà a lungo».
Il vicepremier dialoga fitto con il direttore del carcere Cosima Buccoliero e con il presidente del tribunale di sorveglianza Giovanna Di Rosa. Luigi Pagano, provveditore regionale, prova a riassumere le grandi speranze e le ancor più grandi delusioni: «Quando abbiamo creato Bollate cercavamo la normalità. Purtroppo questo penitenziario rischia di essere l’eccezione». Milleduecento «privilegiati» in mezzo a sessantamila galeotti.
Salvini assaggia i deliziosi gnocchetti con gli scampi e picchia il pugno sul tavolo dell’incertezza della pena: «Entro la primavera ci sarà la legge che elimina il rito abbreviato e lo sconto di pena per i reati più gravi».