Ruggeri sul coronavirus: “Io negazionista? No, ma non mi bevo tutto quello che ci propinano”

 

Milano, 4 nov – Coraggioso, fuori dal coro, una delle poche teste del panorama musicale italiano in grado di pensare autonomamente senza piegarsi ai diktat mainstream, Enrico Ruggeri non le manda a dire nemmeno su lockdown e terrorismo mediatico imperante. Tanto che qualcuno ha pensato bene di affibbiargli l’etichetta di «negazionista», ormai riservata a chiunque si rifiuti di accettare ciecamente la narrazione a senso unico proposta dai media in questo ultimo periodo.

Le accuse di negazionismo

Tutto è cominciato a luglio quando le sue parole avevano fatto inorridire le beghine del «sanitariamente corretto»: «In questo, credo, ci siamo trovati di colpo a vivere in una condizione dittatoriale, seppur una dittatura che non è passata per un esercito ma attraverso una comunicazione di tipo vagamente terroristico. Ci mettevano paura e poi ci offrivano la scappatoia per salvarci, rinunciare alla nostra libertà, appunto». Apriti cielo, le accuse di negazionismo erano fioccate da ogni parte.

Accuse respinte al mittente

In un’intervista apparsa stamattina sul Giornale il cantautore rispedisce con decisione l’accusa al mittente. «È un malcostume che c’è da anni quello di delegittimare quello che dice l’altro insultandolo – spiega – Peraltro “negazionista” è una parola seria. Nessuno nega che ci sia un problema e nessuno ha mai detto che il virus non esiste. Si tratta solo di dare il giusto peso alla questione e alle priorità, su cui ognuno può avere un proprio parere».

Ragionare con la propria testa

C’è una grande differenza, spiega Ruggeri, tra «chi beve tutto quello che viene detto e chi cerca di approfondire un po’, provando a ragionare». Occorre fare chiarezza sui dati forniti dalle istituzioni: «Non credo sia da “negazionista” dire che quando si danno i dati bisognerebbe comunicare chi sono i morti». La loro età, «se avevano altre patologie pregresse. E intanto nessuno dice che nel frattempo saranno morte centinaia di persone di cancro», perché il sistema sanitario è stato cannibalizzato dal Covid. Molti pazienti oncologici sono deceduti «a causa delle diagnosi che non si sono potute fare».

I morti di cui nessuno si interessa

Stesso dicasi per i malati cardiologici: «Le persone che arrivano in ospedale rischiano di morire in attesa di capire se hanno il Covid invece di essere curate d’urgenza magari per un infarto». L’ultimo pensiero va una della categorie più trascurate dalle misure-tampone messe in campo dall’esecutivo. Quella dei lavoratori impiegati nel campo dell’intrattenimento e dello spettacolo. Non parliamo solo di attori e cantanti, ma anche tecnici del suono, costumisti, operai, scenografi. Il cantante esprime l’amarezza di vedere il disprezzo nei confronti della musica, del teatro, del cinema», cioè «di tutte le forme d’arte che sono sempre state fondamentali per l’uomo». E ricorda che «ci sono migliaia di persone che vivono di questo. Sono state totalmente abbandonate e non prendono uno stipendio, guadagnano se lavorano, se parte un tour».

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