Rsa, la strage in Emilia Romagna, così Bonaccini ha abbandonato gli anziani

Mentre i contagi sembrano frenare, le vittime di Covid calare giorno dopo giorno, resta impossibile dimenticare la strage di anziani morti a causa della pandemia che nessuno è riuscito a gestire. Da nord a sud nel giro di due mesi sono morti migliaia di anziani nelle Rsa di tutto il Paese.

Mentre il Pd vorrebbe commissariare la Lombardia anche tra i suoi c’è qualcuno che ha sottovalutato la situazione delle residenze per anziani. Che ha toppato nella gestione del rischio. Che avrebbe potuto fare qualcosa in più per evitare il dramma. Perchè anche in Emilia Romagna la gente è morta in solitudine nel letto di una casa di cura.

L’Emilia Romagna è stata una delle prime regioni ad adottare il lockdown per quanto riguarda gli asili. Era il 23 di febbraio quando il presidente Stefano Bonaccini, con un’odinanza regionale ha annunciato la chiusura delle scuole materne lasciando piccoli e piccolissimi rinchiusi nelle proprie case per ridurre le possibilità che i bimbi contraessero il virus. Fragili e indifesi, i figli dovevano essere al sicuro, ma mentre le nuove generazioni venivano protette con annunci gloriosi del presidente della regione rossa. Gli anziani restavano abbandonati al loro destino. Le loro vite estirpate della propria dignità. Dei loro corpi invecchiati negli anni a nessuno è importato molto e nella regione di Bonaccini le residenze per anziani sono diventate, a poco a poco, focolai che difficilmente qualcuno è riuscito a spegnere. “L’Asl è intervenuta tardi. É stato come gettare un secchio d’acqua sull’ultima fiamma dell’incendio, dopo che la casa era già stata distrutta dal fuoco”. La pensa così Stefano, Oss che in questi mesi ha combattuto in prima linea la guerra contro il Covid, rimanendo ferito e riuscendo a superare anche la malattia. Eppure dalle sue parole sembra che la sfida più dura non sia stata quella personale contro il virus, ma quella vissuta in corsia. Tra le camere da letto degli ospiti della sua struttura. Dove ha dovuto assistere alla strage di anziani spenti dal Covid.

“Ci aggiravamo per i corridoi della struttura senza che nessuno ci avesse dato istruzioni da seguire, senza che il sistema sanitario regionale ci avesse muniti di dispositivi di protezione individuale, in modo da preservare la saluta nostra e sopratutto degli anziani”, continua Stefano. Alla fine della prima settimana di marzo la casa di cura dove lavora Stefano ha deciso di chiudere la porte ai parenti, costretti ad affrontare la solitudine, il dramma della distanza. Sì, perché si sà, quando si invecchia si torna un po’ bambini e loro hanno un costante bisogno di affetto, conforto, vicinanza. Eppure il Coronavirus ha messo barriere fisiche, l’unica arma con la quale il mondo ha combattuto per mesi la pandemia. Chiudere le porte era necessario, ma non è bastato. Perché a mettere a rischio gli anziani della Rsa dell’Emilia Romagna è stato proprio il sistema sanitario pubblico. “Dopo che la struttura aveva sbarrato le porte agli esterni arrivò un paziente, mandato da noi dall’ospedale. Questa persona aveva dei sintomi riconducibili a quelli del Coronavirus ed era risultata negativa ad un solo tampone. E’ stata accolta nella struttura i primi giorni di aprile”, ci racconta Stefano. Dal 4 aprile è scoppiato tutto. Dopo pochi giorni l’ospite è risultato positivo al Coronavirus e con ogni probabilità il paziente zero da cui è partita la strage.

33 operatori infettati su un totale di 50 dipendenti e 31 decessi tra gli 85 pazienti. Oltre il 30% degli ospiti è morto per il Covid19. “Non abbiamo mai visto degli operatori dell’azienda sanitaria locale fino a quando non è scoppiato il dramma vero e proprio”, ammette Stefano. I tamponi non sono mai stati fatti, in un luogo in cui vi era la maggior parte delle persone anziane, considerate fin dalle prime osservazioni sul comportamento del virus, l’anello debole della catena. “A noi operatori hanno fatto il test sierologico, che è si è rivelato inutile perché siamo risultati tutti negativi, ma una settimana dopo ci ammalavamo uno dopo l’altro”, spiega l’Oss. La grande iniziativa dell’Emilia Romagna che per prima in Italia ha sperimentato i nuovi test sembra essersi rivelato un flop, che la Regione continua a nascondere: “Faremo mezzo milione di test sierologici in poche settimane” ha annunciato con orgoglio Bonaccini qualche giorno fa.

I tamponi per gli operatori sanitari invece, non sono mai stati fatti. La situazione continuava a peggiorare e un tampone negativo non si vedeva più da giorni quando anche Stefano ha dovuto lasciare la struttura perché risultato positivo al Covid. Nella struttura il personale era ridotto all’osso e la situazione era diventata ingestibile. “Dovevamo farli mangiare alla velocità della luce, non riuscivamo più ad imboccarli, eravamo troppo pochi. Li dovevamo tenere tutti a letto, tutto il giorno.” Quando la casa di cura si è vista mancare anche l’assistenza base ecco che l’Asl è intervenuta. “Ci hanno mandato degli infermieri che avevano esperienza in reparti Covid, anche in termini di organizzazione, e lì la situazione si è stabilizzata. Il crollo è stato frenato. Ma era troppo tardi”, spiega Stefano. Lì i dipendenti della struttura per anziani si sono accorti di tutto quello che avrebbero potuto fare per lasciare il virus fuori dalla porta se solo qualcuno gli avesse fornito gli strumenti giusti. “A noi ci sono arrivate per mesi mascherine chirurgiche, quando tutti sapevano che quelle servivano solo a proteggere gli altri e non noi. Delle quali, per di più, dovevamo fare tesoro perché erano poche. Poi vedevamo arrivare il personale Asl a fare i tamponi con mascherine FFP2, visiere trasparenti, cuffia…La prima gettata di mascherine FFP2 a noi è arrivata l’8 di aprile e nel pacco ce ne erano 25. Eravamo 30 Oss e le mascherine non sono riutilizzabili”, racconta Stefano. Oltre il danno anche la beffa. Quando tutto era ormai perso e decine di vite si erano spente tra i letti di quella casa di riposo è arrivato tutto il necessario. I dispositivi di protezione individuale in pacchi da 200 elementi. Avrebbero potuto proteggere gli anziani e loro stessi, ma le istituzioni hanno deciso di abbandonarli. Tra nuovi decreti e autocertificazioni loro diventavano gli invisibili, costretti a vivere in un mondo a parte in cui, seppur lasciato solo, qualcuno ha continuato a combattere cercando la strada giusta in un tunnel buio.