Renzi, per ora Italia Viva è un fiasco: poche scissioni a livello locale

Prime difficoltà per Italia Viva, il nuovo partito di Matteo Renzi. Scaricato nel giro di pochi giorni da Romano Prodi (“Italia Viva? Uno yogurt”), dagli italiani (i sondaggi non gli danno più del 5%) e dai sindaci che aveva contribuito a far eleggere (“Matteo, non si sbatte la porta di casa”), ora Renzi deve fare i conti con un altro fiasco.

Infatti sono pochi, pochissimi gli amministratori locali che hanno lasciato il Pd per aderire al nuovo movimento renziano.

Come racconta anche il Corriere della Sera, al momento, tutti i dirigenti dem nazionali e locali della Toscana hanno deciso di rimanere al Nazareno. In Umbria, altra storica roccaforte rossa, per adesso solo il vicesindaco di Corciano, Lorenzo Pierotti, e il segretario di Nocera Umbra, Vincenzo Laloni, hanno dato fiducia all’ex premier. Situazione simile in Emilia-Romagna. Oltre al sindaco di Sorbolo (Parma), Nicola Cesari, a fare le valigie sono stati il consigliere di Lugo, Fabrizio Lolli, l’ ex sindaco di Sasso Marconi, Stefano Mazzetti e l’assessore di Ravenna, Roberto Fagnani. Tutti pesci piccoli, incapaci da soli di rimpolpare le fila di un partito che nasce dimezzato.

Vero che Italia Viva è appena nata. C’è tutto il tempo per prendersi una pausa di riflessione, stracciare la tessera del Pd e seguire Renzi nella sua nuova avventura. Qualcuno, magari, attende la kermesse della Leopolda, in programma tra i 18 e il 20 ottobre. Ma le scarne adesioni al nuovo partito non rappresentano un segnale incoraggiante per Matteo, che ha bisogno di una rete capillare – e fedele – di amministratori locali per consolidare e possibilmente aumentare i propri consensi.

In questi giorni, il fedelissimo di Renzi più attivo nel reclutamento di vecchi iscritti al Pd è Ettore Rosato. Vice presidente della Camera, ex capogruppo dem a Montecitorio, Rosato guida gli oltre Comitati di azione civile di ispirazione renziana, nati per organizzare le truppe e raccogliere fondi (per aderire è richiesta una donazione minima sul web di 5 euro).

Se, come noto, sindaci come Sala (Milano), Nardella (Firenze) e Gori (Bergamo) hanno preferito rimanere nel Pd, tra i big a livello locale più vicini ad abbandonare la nave dem c’è l’ex governatore della Basilicata, Marcello Pittella. Troppo poco per pensare di fare uno sgambetto elettorale ai democrat. Il segretario Zingaretti lo sa e se la ride: “Nelle Regioni non ci saranno ripercussioni, nessuna scissione, poca roba. Anzi mi dicono che è scattata la voglia di tesserarsi al Pd”.

Intanto, però, in Parlamento Renzi ha formato un contingente di 26 deputati e 15 senatori. Quasi il doppio di quanto si diceva all’inizio. Niente male. Con il risultato di rendere ancora più frammentato il centro-sinistra tra Camera e Senato. Nelle due Aule lo scenario è cambiato radicalmente. Colpa degli scissionisti. I renziani, naturalmente, ma anche Richetti, che ha lasciato il Pd per aderire al movimento di Calenda. Al momento, Zingaretti può contare su 45 deputati e 14 senatori. In tutto 59 parlamentari, appena 5 in più di Base Riformista, la corrente che fa capo a Lorenzo Guerini e Luca Lotti, due ex renziani di ferro rimasti nel Pd e supportati da un esercito di 35 deputati e 19 senatori. A cui aggiungere 10 Giovani Turchi (7 deputati e 3 senatori), guidati da Matteo Orfini. Italia Viva, come detto, vanta 26 deputati e 15 senatori. Meno di Zingaretti. Ma essenziali per il governo Conte.