“Regole chiare, basta dpcm” Il rigore “tedesco” di Draghi

 

Roma. Se il modello è Angela, allora si fa quello che suggerisce la scienza: Roma come Berlino, se serve si chiude, parola agli esperti.

Purché la parola sia una sola, e precisa. Basta con la confusione, con i consulenti del ministro della Salute che invocano lockdown, con i cambi di rotta all’ultimo momento, come per lo sci. Mario Draghi al Senato è stato chiaro. «Ci impegniamo a informare i cittadini con sufficiente anticipo». Ma c’è anche il modello Boris. Il presidente del Consiglio, che vuole far partire in fretta la vaccinazione di massa, infatti è rimasto ammirato dalla determinazione di Johnson, arrivato a quasi quota 17 milioni di dosi inoculate. Noi, per dire, siamo a poco più di tre. Nei prossimi giorni le scelte che tracceranno la strategia complessiva dell’esecutivo. Intanto il premier, raccontano a Palazzo Chigi, «ha messo la testa nel dossier».

Insomma, altro che Recovery Plan, o green economy, o il lavoro da trovare, o l’Italia da rilanciare, o la burocrazia da snellire con le riforme di Pa e giustizia. La prima vera sfida del governo è quella sanitaria. Chiudere il Paese? Cercare di riaprirlo? Dare retta al Cts? Assecondare le Regioni? Qualunque decisione scontenterà un pezzo della sua maggioranza, e questo è dato per scontato, del resto pure il fronte dei governatori appare piuttosto frastagliato, anche di là della provenienza politica. Nelle ultime ore, da Salvini che se la prende con «la paura preventiva» ai vertici sanitari che vedono la curva in salita, sono in tanti a tirare Draghi per la giacchetta. Lui risponde con il silenzio, ma intanto convoca per domani alle 9,30 un cdm. Il primo punto? «Ulteriori disposizioni urgenti in materia di contenimento dell’emergenza epidemiologica da Covid-19».

Il 25 febbraio però scadrà il divieto di spostamento tra le Regioni emanato con l’ultimo atto da Conte e il nuovo governo dovrà decidere se prorogarlo con un altro provvedimento, oppure autorizzare la libera circolazione nella penisola. Allo studio, riporta Adnkronos, ci sarebbe l’ipotesi di una proroga dello stop agli spostamenti fino al 31 marzo. I governatori, sia pure divisi sul come, sono sostanzialmente dell’idea di abbandonare i pennarelli che colorano il Paese in fasce. Roberto Speranza ipotizza un’Italia tutta arancione per alcune settimane «in modo da arginare le varianti». Tutti chiedono un cambio di passo per evitare l’alternanza di aperture e chiusure che disorientano i cittadini e penalizzano gli imprenditori. E il 5 marzo decadrà pure il decreto che ha proibito lo sci.

Che farà Draghi? Alle Camere ha dedicato diversi passaggi del suo intervento al piano vaccini «da rifare» e alla riforma della sanità territoriale. Nel frattempo appare difficile che Palazzo Chigi abbandoni la linea del rigore. Non subito almeno. Se la situazione «sul campo» non migliorerà, se le tre varianti del virus, brasiliana, inglese, sudafricana, continueranno a espandersi, se non si otterrà la certezza dell’efficacia dei vaccini per queste mutazioni, è improbabile un liberi tutti. Servono misure e attenzione. Lo dimostrano quelle transenne a Napoli sul lungomare per trattenere la gente in cerca di un tavolino al sole, o le piste di Campo Felice affollate nonostante i divieti. Non siamo pronti.

Qualcosa invece potrà cambiare sul come, forse si passerà davvero dalle bande colorate a interventi uguali per tutta l’Italia: diversi scienziati ritengono inutile la fascia gialla, che «contiene ma non riduce i contagi». E, chissà, il premier potrebbe sostituire lo strumento normativo: niente più dpcm a raffica, ma un decreto cornice sulle regole generali, aperto alle ordinanze specifiche di ministri e governatori.

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