Pieve di Soligo, 83enne trucidato dal ladro per avere surgelati e merendine

Ammazzato per pochi spiccioli, una busta di surgelati e qualche merendina. Adriano Armellin, 83 anni, è stato massacrato in casa, a Pieve di Soligo, nel Trevigiano, dove viveva solo dopo essere rimasto vedovo. Pugni e bottigliate in testa. Il cranio sfondato. L’aggressore, un 36enne marocchino con precedenti penali arrestato pochi minuti dopo dai carabinieri chiamati da un vicino, Luciano, che l’aveva visto uscire dalla finestra del primo piano, ha lasciato il poveretto riverso in una pozza di sangue, legato vicino alle scale. Il malvivente, mentre tentava di scappare probabilmente perché temeva che le urla disperate dell’anziano avessero attirato l’attenzione – o perché ha sentito qualcuno entrare, forse il figlio del malcapitato – è caduto da una pensilina e si è ferito una gamba. Ha provato a rialzarsi, ma il vicino della vittima l’ha bloccato fino all’arrivo degli uomini dell’Arma. «Aveva una busta di plastica, dentro c’era un pacco di surgelati», ha detto Luciano ai cronisti. «Abbiamo trovato alcune monete e delle merendine sparse per il giardino», ha aggiunto la moglie.

Il marocchino, che ora si trova in carcere con l’accusa di omicidio e rapina aggravata, una volta fermato ha tentato di giustificarsi dicendo che quel sacchetto gliel’aveva dato una signora. Gli inquirenti stanno ricostruendo nel dettaglio l’accaduto, ma la dinamica nei suoi elementi principali è già chiara. Il delinquente si è introdotto in casa venerdì sera. Quasi certamente puntava a una refurtiva ben più cospicua. È entrato dalla porta di un negozio che si trova nello stesso immobile: è possibile che si sia imbattuto in Armellin salendo le scale, dirigendosi verso la sua abitazione. È stato uno di questi due fatti, con tutta probabilità- stando a fonti investigative- a scatenare tanta ferocia. A trovare l’anziano, uno dei figli, il quale dalle 19 aveva cercato di parlare al telefono col padre. Quando l’uomo è entrato si è trovato davanti il corpo martoriato del genitore, una scena agghiacciante. Armellin aveva fatto l’elettrauto per una vita ed era molto conosciuto in città. È morto dopo 12 ore di agonia. È stato trasportato in ospedale in elicottero in condizioni disperate: i traumi e le ferite erano troppo gravi, i soccorritori se n’erano resi conto fin da subito ma avevano provato il miracolo. Non c’è stato niente da fare.

Oltre al dolore dei familiari e degli amici, monta la rabbia nel piccolo centro trevigiano, poco più di 10 mila abitanti. Treviso è da decenni una delle province più accoglienti d’Italia, lo dice il numero di associazioni sul territorio, e però la gente oggi ribolle, innanzi all’ennesimo delitto commesso da uno straniero già noto alle forze dell’ordine. Il razzismo non c’entra, si tratta di non ritrovarsi per strada individui che dovrebbero già essere stati assicurati alla giustizia. Mohammed, marocchino di seconda generazione, dice di essere «il primo a essere scioccato: la nostra comunità è perfettamente integrata. Quello che è successo è assolutamente estraneo alle dinamiche di convivenza tra etnie diverse, in un paese in cui si conoscono tutti». Durissima la condanna del governatore del Veneto Luca Zaia: «Ci vuole il massimo della pena. Un epilogo peggiore non poteva esserci. Penso solo a cosa ha subito questo signore, alla sofferenza patita. Ci aspettiamo veramente giustizia, se così si può dire, perché davanti alla perdita di una vita in un modo simile non esiste giustizia, però non vorrei assistere a situazioni che abbiamo già vissuto in passato. Voglio ripeterlo ancora», ha proseguito Zaia, «siamo di fronte a un fatto intollerabile, in una società civile: confido che la giustizia agisca rapidamente e che la punizione sia esemplare. Alla famiglia di Adriano Armellin», ha concluso il governatore, «la mia vicinanza in questo momento terribile».