Pazienza, tanto suo figlio è disabile

In questi giorni, fra le numerose denunce che ricevo, mi scrivono due genitori. Francesca (nome di fantasia), bambina down, non ha il docente di sostegno e viene rimbalzata, il padre e lei, da scuola a scuola. Francesca ha un fratello autistico: per fortuna il docente di sostegno nella sua scuola statale c’è.

Il papà di Francesca non ha trovato un adeguato riscontro al PEI della bambina nella scuola statale; vorrebbe dunque per la figlia una scuola Paritaria, pensando che in questa possa esserci uno sguardo maggiormente professionale e attento della situazione. La scuola paritaria ha quella dose di autonomia che, si spera, spenderà bene.

Infatti questo padre estremamente pragmatico – come potrebbe non esserlo il padre di un disabile? – fa il seguente, testuale ragionamento: «Forse con immensi sacrifici, già sopra le nostre forze che sono agli sgoccioli, potremmo arrivare a pagare la retta per la scuola paritaria, ma di
certo non abbiamo la possibilità di coprire economicamente il totale del monte ore dell’insegnante di sostegno né possiamo perdere le 15 ore di assistenza educativa scolastica (5 a copertura + 10 di compresenza) di cui necessita la bimba e che sono effetto di anni di battaglie, anche legali, con il Comune di Residenza».

Decido di riportare questo ragionamento senza alcuna manipolazione perché credo che non si abbia piena consapevolezza del dramma che vivono questi invisibili disperati non solo a causa della malattia di un figlio ma anche di una società perbenista che crede opportuno issare la
bandiera della discriminazione verso bambini e bambine disabili. Questo dramma che si consuma a suon di razzismo economico non ci sdegna.

“Pazienza, del resto non possiamo aiutare tutti”; “pazienza: la prima serata di una trasmissione popolare, come può essere dedicata a questa discriminazione? lo share non ce lo consente”. E allora questo padre, come tutti i padri e le madri dei 300 mila allievi disabili, impara in fretta che
dopo aver combattuto per qualche anno occorre fare i conti con la realtà e anche le battaglie civili devono cedere il passo a quelle contingenti. Infatti il padre di Francesca, al mio invito “avviamo una battaglia sulla stampa e portiamo a conoscenza dell’opinione pubblica questa ingiustizia…
chissà se all’Indignato interesserebbe aiutarci”, mi risponde «Ogni lotta non può penalizzare la messa in campo a breve di ogni risorse per nostra figlia.»

Detto in modo chiaro e senza mezzi termini: “Io padre di Francesca non posso combattere per cambiare la storia e permettere che mai più questi bimbi vengano discriminati; può farlo lei suor Anna, che non ha un figlio disabile da gestire, con bisogni immediati”. Non me lo dice
chiaramente, il padre di Francesca, ma lo leggo nelle righe con una chiarezza disarmante, che da un lato mi scomoda tanto da togliermi le ore di sonno, ma dall’altro fa dire a me stessa: “Beh, allora, se non lo fai tu per questi invisibili, sei una vile: chi lo deve e lo può fare?” Non è stato
sufficiente denunciare che 300 mila allievi disabili hanno vissuto il lockdown in una condizione di isolamento; l’indagine precisa di Tuttoscuola ha chiaramente portato all’opinione pubblica che il 59% dei ragazzi con disabilità si troverà quest’anno con un docente di sostegno sconosciuto. Per
un allievo disabile vuol dire azzerare tutto il pregresso e ricominciare tutto daccapo. Il perbenismo pare muto, sordo e cieco. Non funziona che “siccome il bambino è disabile, basta mettergli un docente di sostegno: uno vale l’altro tanto è un disabile… puntiamo a migliorargli per quanto è
possibile la qualità della vita, ma sempre disabile resta”… Il non detto va esplicitato, altrimenti crediamo che il silenzio ci lavi le coscienze… eh no,
l’assoluzione non vale. L’indagine di Tuttoscuola è una buona indagine, ha arricchito qualche newsletter, è stato un numero utile nelle nostre aule professori; poi l’abbiamo utilizzata per appoggiare la tazze del the fumante, poi giù nel cestino della carta.

Impietoso il dossier di Tuttoscuola che cito testualmente: “Nella prima settimana di scuola il ritardo di nomina dei supplenti ha penalizzato soprattutto migliaia di alunni con disabilità per i quali il docente di sostegno deve tuttora essere reperito tra i supplenti annuali (circa 19mila) e i supplenti su posti in deroga (circa 84mila). Mentre si attendono per le prossime ore (o giorni) le nomine di oltre 100 mila supplenti su posti di sostegno, circa 158 mila alunni con disabilità, ben oltre la metà dei 285 mila previsti quest’anno, dovranno ancora attendere, rimanendo a casa (come sembra abbiano deciso molti genitori degli alunni con disabilità più grave) o stando in classe, affidati agli altri docenti della classe e aiutati dai compagni.”

E’ una notizia come le altre. Francesca che posto ha nelle nostre vite, e i 285 mila Gianni, Mario, Tina, Pina sono solo dei numeri? Possiamo provare a dare una risposta al padre di Francesca legittimamente impegnato a dare una vita dignitosa a Francesca, ma non possiamo chiedergli di dedicare le forze che sono agli sgoccioli per tutti i 285 mila disabili invisibili. Sbagliato non fare i conti con le poche forze del padre di Francesca che deve occuparsi di lei e del fratello disabile anche lui o della mamma di Anna che non ha tempo di iniziare una guerra con la scuola statale che le impone il modello ABA e con la paritaria che non le risponde alle pec prendendo tempo, piuttosto che dire alla mamma di Anna la verità: se la scuola paritaria accoglie (anche) Anna, chiude. Non può reggere 20.000 euro annui di stipendio.

Il padre di Francesca e la mamma di Anna avrebbero la soluzione al loro problema, iscrivere le due bambine down in una buona scuola pubblica paritaria. I genitori di Francesca e Anna, pur avendo già pagato le tasse per una scuola pubblica statale che costa 8.500 euro, sarebbero anche disposti a buttare giù il boccone amaro di dover pagare la seconda volta la retta della scuola pubblica paritaria. Ma il docente di sostegno no, quello non possono pagarlo. Lo Stato Italiano, che per Francesca spenderebbe euro 20.016 per il docente di sostegno nella scuola statale, se i genitori la iscrivono nella scuola paritaria, decide arbitrariamente di destinare solo 1.716 euro. Per la differenza che manca dovrà intervenire il padre di Francesca, oppure i genitori degli altri allievi o la scuola paritaria con le sue economie…. Caso vuole che quest’ultima non abbia ricevuto solo la richiesta per Francesca: ha un disabile per classe, per 10 classi. Ma la scuola paritaria dove troverà i 200mila euro necessari? Il primo anno chiederà ai benefattori Rossi, Verdi e Bianchi, il secondo anno alle banche, poi si indebiterà e chiuderà. E’ doveroso dire che le scuole paritarie, per pagare i docenti e le utenze e per dare una offerta formativa seria, devono chiedere rette che per la scuola dell’Infanzia non possono essere inferiori a 3.800 euro e per il liceo inferiori a euro 5.500. Tutte le scuole paritarie che hanno applicato una retta inferiore hanno chiuso o sono in dirittura di chiusura per bancarotta oppure sono denunciate alla GF per sfruttamento del lavoro. Evidentemente non è possibile accusare la scuola paritaria di essere ingiusta perché domanda la retta, o stupirsi se la famiglia non paga tasse (euro 8.500), retta e docente di sostegno.

Nell’arco di due anni, se con il decreto Agosto non si decide di rivedere le linee di finanziamento del sistema scolastico italiano, il futuro prossimo sarà una scuola statale sempre più fallimentare, che con 8.500 euro non riparte, e una scuola paritaria che – per esercitare il suo ruolo pubblico –
dovrà chiedere rette non inferiori a 5.500 euro; le famiglie le sceglieranno con enormi sacrifici pur di dare una possibilità ai figli. Oppure non le sceglieranno perché non possono permettersele. Quindi avremo il diritto all’istruzione come un lusso. Il tutto senza una ragione di diritto e di
economia, ma per pura idiozia culturale.