Paolo Mieli: «Un mare di melma sommerge la magistratura. E Bonafede chiarisca su Di Matteo»

La “melma” che emerge dalle intercettazioni del caso Palamara; gli inquietanti scenari dell’affaire Bonafede-Di Matteo; le accuse e le giustificazioni incrociate dell’ex magistrato Luigi De Magistris sulle nomine al Dap. In un lungo editoriale sul Corriere della Sera di oggi Paolo Mieli mette in fila, ricostruendole puntualmente, tutte le puntate dello scandalo che ha coinvolto la magistratura e più in generale la giustizia italiana nelle ultime settimane, molte delle quali sono “andate in onda” nel corso della trasmissione di Massimo Giletti Non è l’Arena su La7. È lì, infatti, che è esploso e in gran parte si è consumato lo scontro tra il magistrato della trattativa Stato-mafia e il Guardasigilli.

Mieli: “Bonafede dica se su Di Matteo subì veti”

Mieli ripercorre tutte le incongruenze di quel caso, a partire dal trattamento riservato dal M5S a Di Matteo. “Beppe Grillo e i suoi seguaci – scrive Mieli – lo adulavano e annunciavano in ogni occasione che, fossero mai giunti al potere, lo avrebbero nominato ministro di Giustizia. Ma quando nel giugno del 2018 andarono al governo si dimenticarono di lui”. Poi da parte di Bonafede ci fu l’offerta, subito ritrattata, del Dap. “Cosa indusse Bonafede a comportarsi in quel modo scortese con Di Matteo?”, chiede Mieli, riprendendo una domanda di Giletti “non impropria”, considerando i pregressi salamelecchi dei grilli al magistrato.

L’ex direttore del CorSera ricorda che mentre Bonafede proponeva a Di Matteo il Dap, entrambi “sapevano che alcuni mafiosi imprigionati annunciavano un finimondo nel caso quel magistrato fosse stato messo alla guida del Dipartimento. Anzi il ministro lasciò intendere che era proprio per aver avuto conoscenza delle minacce dei boss che aveva deciso di chiamarlo a quell’incarico”. Poi però intervenne il ripensamento notturno e la serie di domande che si porta dietro: “Cosa accadde quella notte di giugno del 2018? Ci fu qualche veto? Anche Bonafede poche domeniche fa telefonò in diretta a Non è l’Arena e non trovò spiegazioni convincenti al cambiamento di idea di due anni prima”.

Quella “melma” che sommerge la magistratura

Tutto questo mentre esplodeva l’altro caso capace di minare alle fondamenta la credibilità del sistema giustizia italiano: la divulgazione di una nuova trance di intercettazioni delle telefonate tra Palamara e i suoi sodali. Mieli definisce quelle conversazioni un “mare di melma, che sta sommergendo l’ordine giudiziario”. E sottolinea che “il punto” di tutto sono “le correnti della magistratura che sono diventate qualcosa di assai anomalo”. “Non se ne conoscono più i motivi di differenziazione ideologica. Appaiono centri di potere e come tali si muovono”. “A questo punto è chiaro che il problema non è più, come in passato, quello di porre rimedio a una subalternità alla politica. La politica è con le spalle al muro. Il potere sono loro, i magistrati che hanno in mano le correnti. Della crescita di questo potere hanno dato prova negli ultimi venticinque anni contribuendo non marginalmente a far saltare in aria i governi di Silvio Berlusconi e di Romano Prodi; mettendo alle corde Matteo Renzi e Matteo Salvini; infilzando una gran quantità di politici di calibro minore”.