Nuovi focolai e vittime nelle Rsa di tutta Italia. Ma stavolta i riflettori dei media sono spenti

Nel pieno della prima ondata Gad Lerner si accodò al linciaggio delle istituzioni lombarde denunciando una presunta «epidemia insabbiata al Pio Albergo Trivulzio».

Si scoprì poi c’erano stati quasi tremila morti per Covid nelle residenze assistenziali di tutta Italia e la magistratura aveva aperto 40 inchieste. Dalle quali, al momento, non sono emerse responsabilità diffuse, al netto degli errori che non sono mancati nel sistema sanitario in fase critica. Oltretutto, i numeri andrebbero pesati: le Rsa sono soprattutto al Nord, dove ci sono 25 posti ogni cento over 75 non autosufficienti, contro i cinque del Centrosud.

Nella seconda ondata il movente politico è scarico: difficile strumentalizzare le vittime ora che l’epidemia sta attaccando tutto il Paese. E allora sulle Rsa pare essere sceso un velo di silenzio. Le vittime di ottobre sono meno vittime di quelle di marzo. La situazione, per fortuna, non è ancora a quel livello. Ma scorrendo le cronache locali si possono rintracciare decine di allarmi per focolai scoppiati in luoghi dove tutti sono potenzialmente a rischio.

Già a settembre aveva fatto notizia il caso di Villa Genusia in provincia di Taranto, dove era scoppiato un focolaio con 50 contagiati e, dopo che la Asl aveva deciso di non trasferirli in strutture più attrezzate per l’isolamento, si sono registrati sei morti e una coda di polemiche, interrogazioni parlamentari ed esposti. E sempre in Puglia, una Rsa di Alberobello ha registrato 59 positivi su 63 ospiti e 12 operatori su 23.

Stesso film alla «Don Orione» di Avezzano dove sono state contagiate persone, di cui 85 ospiti. Alla «Anni azzurri» di Roma il bilancio è arrivato 39 su cento. E a Villa Terruzzi di Concorezzo, in Brianza, tra i 33 positivi su 37 si sono registrate sei vittime.L’elenco è lungo spostandosi nel Ferrarese, in Trentino, a Sesto Fiorentino dove sono risultate positive anche sette suore, o a Oppeano, nella Bassa Veronese, dove si sono registrate altre cinque vittime.

Mancano statistiche aggiornate, a conferma che con la seconda ondata i riflettori si sono spenti. L’ultimo studio dell’Istituto superiore di sanità risale a maggio ma la situazione non sembra ancora grave quanto era a marzo-aprile. «Ma la tendenza è allarmante -conferma Francesco Landi geriatra e responsabile del Day hospital anti-Covid del Policlinico Gemelli- non è stato fatto abbastanza per proteggere questi anelli deboli della struttura».

Eppure le Rsa hanno adottato protocolli severissimi, controlli continui sugli operatori e misure di confinamento. «Di sicuro le abbiamo blindate -spiega Landi- rendendo difficile ricevere visite dei parenti anche quando l’epidemia circolava poco. Ma non siamo riusciti a creare una rete virtuosa intorno». I problemi sono due: il rapporto con gli ospedali, che crea un rischioso viavai di ospiti, e i movimenti degli operatori. «Con mogli e mariti che vanno al lavoro e figli che vanno a scuola -dice Landi- medici e infermieri ora hanno più occasioni di contagio. Si sapeva e bisognava investire di più, usare tamponi antigenici: sono meno sensibili ma rapidi e quindi utilizzabili a ogni ingresso».