“NON CI STANNO RACCONTANDO COSA DAVVERO E’ ACCADUTO” CARABINIERE UCCISO, LA CLAMOROSA DICHIARAZIONE DI ‘CAPITANO ULTIMO’

 

Il carabiniere che, a capo di un manipolo di valorosi, catturò il capo dei capi di Cosa Nostra, Totò Riina. Il comandante – così chiamato dai suoi uomini – che, «senza tesi precostituite, ma solo svolgendo le normali attività di indagine di competenza», come sottolinea con puntiglio, ha messo nel mirino già nel 1988 la Duomo connection (una rete di affettuose amicizie tra politici, imprenditori e mafiosi all’ ombra della Madonnina), quindi Finmeccanica, Ior e Cpl Concordia, diventando a sua volta bersaglio della Lega e del Pd, e che ha picconato il famoso processo sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia – «che non c’ è mai stata, è un’ invenzione costruita su invenzioni» – occupandosi di Massimo Ciancimino, icona dell’ antimafia di Antonio Ingroia e millantatore conclamato.

L’ investigatore geniale e sopraffino che, senza volto, scelse il nome di battaglia di Ultimo perché «in un mondo in cui tutti volevano primeggiare, io volevo servire». Insomma: il colonnello Sergio De Caprio – oggi parcheggiato al comando carabinieri forestali, dopo essere stato mandato nei Ros, poi al Noe, il Nucleo operativo ecologico, all’ Aise (i servizi segreti), come un pacco ingombrante di cui non ci si riesce a disfare – è stato appena querelato per diffamazione aggravata. Dal comandante generale dell’ Arma, il generale Giovanni Nistri.

A sua volta Ultimo, in quanto presidente del Sim (il sindacato dei carabinieri, carica da cui si è contestualmente dimesso), ha promosso un’ azione legale nei confronti di Nistri per «abuso d’ ufficio e attività antisindacale».

Quando è uscito il libro scritto da Pino Corrias, Fermate il capitano Ultimo!, siamo rimasti in parola di fare un’ intervista per La Verità per ripercorrere, attraverso quelle pagine, il suo cursus honorum in termini di inchieste e conseguenti piccole e grandi vessazioni che, per questo, lui e i «suoi» carabinieri si sono ritrovati a patire (senza alcun tipo di vittimismo da parte loro, va doverosamente aggiunto). Se non che, nel momento in cui abbiamo stabilito di vederci, insieme alla notizia delle querela è purtroppo arrivata quella dell’ omicidio di Mario Cerciello Rega.

Che riflessioni ha maturato su questo tragico episodio?

«Che è morto un giovane servitore dello Stato, sposato da poco, in modo atroce e per una concatenazione di eventi su cui si deve fare il massimo di chiarezza, come è doveroso per ogni fattispecie criminale».

Il generale Nistri, al funerale, ha invitato a non infliggergli, riferendosi (almeno così mi è parso di capire) a dubbi e illazioni che aleggiano, un’ ulteriore «coltellata».

«Per questo è opportuno che l’ inchiesta proceda celermente, senza lasciare ambigue zone d’ ombra. Però mi consenta un’ osservazione: perché, a indagini in corso, far filtrare la notizia che l’ arma di ordinanza è stata ritrovata nel suo armadietto in caserma, aggiungendo “e il motivo del perché fosse lì lo sa solo lui”? Non solo. Perché sostenere che i due carabinieri “non immaginavano di trovare una persona con un coltello di 18 centimetri e di essere aggrediti quando si qualificavano come carabinieri”?».

Lei intende dire che potrebbe apparire un modo obliquo di porre in capo a Cerciello e al suo collega la responsabilità di non aver osservato correttamente le procedure?

«È una sua valutazione. Io non intendo nulla. Mi fermo e soffermo su quello che leggo.

Tra cui l’ ipotesi di “violata consegna”, che è un reato, come la giurisprudenza insegna, contro il servizio: si realizza nel momento in cui non vengono osservate le regole e le disposizioni ricevute. Ma chi avrebbe fatto, o non fatto, cosa? Loro due? O altri? E come? Quando? Al momento non si sa, quindi credo sarebbe doveroso non alimentare, magari involontariamente, suggestioni o dietrologie “intossicanti”».

Per via della querela presentata dal generale Nistri, lei rischia una pena fino a tre anni di carcere militare.

«Ne sono consapevole. Ma io non ho sollevato una polemica ad personam: mai mi sono permesso e mai lo farò. Il problema che intendevo segnalare era come sempre di metodo e di sostanza, e su un piano generale: nel momento in cui la sicurezza di un carabiniere è messa a rischio, può questa essere delegata a un prefetto?».

Nel caso concreto c’ entrava la decisione di revocare la sua, di scorta. Per iniziativa del prefetto di Roma, Paola Basilone.

«A cui ho chiesto chiarimenti, ma il prefetto ha preferito scrivere al comando provinciale sostenendo che la mia domanda non poteva essere accolta per ragioni di opportunità. Quali? Mai sapute. Da responsabile della mia scorta, me la toglie ma non mi dice perché. Singolare, no? Come se la mia sicurezza non dovesse riguardarmi».

Tornando a Nistri. Lei su Facebook ha chiesto se chi si era rimesso alla decisione del prefetto poteva essere ancora definito un comandante militare, o non piuttosto «un funzionario». Contestava insomma a Nistri la «neutralità» dell’ Arma, un atteggiamento «ponziopilatesco». Nistri le contesta lo spirito e la lettera del suo intervento.

«Ripeto: la questione era di principio, e andava oltre la mia persona. Quanto alla denuncia, sono un militare il cui attaccamento alla divisa e all’ istituzione non credo possa essere messo in dubbio da alcuno. Ma proprio per questo attendo le decisioni della Procura militare. Di più non posso e non voglio aggiungere».

Nel frattempo, la scorta le è stata riassegnata, per decisione del Tar. Lei invece perché ha denunciato il comandante generale dell’ Arma?

«Per aver impedito lo svolgimento di qualsiasi attività sindacale all’ interno delle caserme, anche a seguito di specifiche richieste della nostra associazione, con una condotta di fatto manifestamente antisindacale, con conseguente grave danno economico, che a mio avviso deve trovare un giusto risarcimento in sede civile, per via degli oggettivi ostacoli alle iscrizioni».

Non è la prima volta che lei si ritroverà sul banco degli imputati. È successo a Palermo, per un’ accusa infamante: favoreggiamento della mafia.Il bello è: dopo la cattura di Totò, U Curtu, Riina.

«Piroso, lei dieci anni fa in tv disse: “In America un investigatore che avesse messo le manette al ricercato numero uno sarebbe stato portato alla Casa Bianca per una foto e un encomio del presidente. Da noi invece lo abbiamo trascinato in tribunale”. Dell’ onorificenza non mi è mai importato nulla…».

Tanto da rifiutare il titolo di Cavaliere della Repubblica che il presidente, Sergio Mattarella, le ha conferito.

«Non potevo accettare quel titolo perché non fa parte dei miei valori, della cultura dell’ umiltà che peraltro ho condiviso con i miei uomini. Il carabiniere lo si fa al servizio della gente. Naturalmente, ho ringraziato con deferenza il capo dello Stato, esprimendogli la mia ammirazione per la sua persona e la vicinanza per come ha affrontato il dolore di un affetto strappato con tale violenza alla vita: il fratello Piersanti Mattarella, ucciso dalla mafia».

Tornando al suo processo, quello che mi stupì fu che la Procura di Palermo, dopo l’ assoluzione in primo grado, non impugnò la sentenza in appello.

«Forse perché aveva scoperto che il teorema non stava in piedi. Del resto, è agli atti che subito dopo l’ arresto ci fu una riunione alla presenza del dottor Gian Carlo Caselli, fresco di nomina come capo della Procura di Palermo. A chi, anche ufficiali dell’ Arma, sosteneva la necessità di entrare subito nel “covo”, opposi i miei argomenti contrari, a fini investigativi, che Caselli condivise. Posso aggiungere una considerazione ex post?».

Prego.

«Ma se in quella casa c’ erano così tanti documenti compromettenti per politica, governo, magistratura, com’ è che nessuno negli anni li ha tirati fuori, e Riina e Provenzano sono morti in carcere?».

Per Finmeccanica, un’ azienda strategica per difesa e sicurezza, l’ hanno accusata di aver inferto un colpo agli interessi dell’ Italia, con l’ arresto dell’ ex amministratore delegato, Giuseppe Orsi (sponsorizzato dal leghista Roberto Maroni): nel 2019 è stato assolto in via definitiva dall’ accusa di corruzione internazionale e di false fatturazioni.

«Partimmo da un traffico di rifiuti, perché nel 2000 ero stato dirottato al Noe, il Nucleo operativo ecologico. S’ indaga, informando il superiore gerarchico e il magistrato, così come vuole la legge, e non ci si preoccupa delle conseguenze patrimoniali o delle carriere.

Una volta messo il raccolto in cascina, dopo aver visto, ascoltato, documentato, consegniamo tutto ai magistrati. Sono loro che devono decidere se chiedere il rinvio a giudizio, il resto accade nei processi».

La Lega l’ ha accusata di averla danneggiata, con l’ arresto del tesoriere, Francesco Belsito, espulso dalla Lega nel 2012 per lo scandalo dei rimborsi elettorali.

«C’ era la pista per cui la Lega investiva i soldi dei rimborsi elettorali comprando diamanti. “Attenzioniamo” Belsito. Salta fuori di tutto. Al telefono Belsito commenta sconsolato con la segretaria di Umberto Bossi: “Questi neanche i caffè si pagano”. Raccogliamo e consegniamo tutta l’ informativa ai magistrati Roberto Pellicano e Alfredo Robledo della Procura di Milano».

Stessa accusa da sinistra, dalla galassia del Pd, per Cpl Concordia, la più potente tra le cooperative rosse.

«Stavamo seguendo la pista dei rifiuti, quindi delle risorse energetiche, la metanizzazione, e scopriamo che c’ era chi potendo fare business, il suo giro d’ affari l’ aveva ceduto a costo zero alla Cpl Concordia che poi in Campania si metteva d’ accordo con il clan camorristico dei Casalesi».

Altra accusa. Ha tramato contro Matteo Renzi. Per l’ affare Consip.

«Affare, come lo chiama lei, di cui non mi sono mai occupato. E in più: mai occupato di, o indagato su, o parlato di Renzi o i suoi familiari. Quando sono stato messo sapientemente in mezzo, per alzare un gran bel polverone mediatico, ho chiesto un dibattito pubblico con tutti coloro che mi accusavano di essere un “esagitato eversore golpista”. Non si è fatto avanti nessuno».

Renzi continua a pensare a un complotto.

«Credo gli serva per raccontarsi che in fondo, se ha perso il referendum, la responsabilità del suo fallimento politico non è sua. Ma appunto di noi carabinieri “infedeli”. Invece, dovrei essere io a lamentarmi di essere finito in un tritacarne, per cui nell’ agosto del 2015 il comandante generale, Tullio Del Sette, con un ordine di servizio di cinque righe, mi toglie tutte le funzioni operative di polizia giudiziaria: niente più indagini, per nessuna Procura».

Adesso è lei a vedere complotti.

«È così poco vero che a confermare che l’ obiettivo era quello di estromettermi è stato il generale Sergio Pascali, ex comandante del Noe, che interrogato dai giudici romani ha ammesso: “Mi era stato chiesto di regolare De Caprio”».

Il 3 settembre alla Casa famiglia che ha aperto sulla via Prenestina, a Roma, sede dell’ Associazione volontari capitano Ultimo…

«E dove non molto tempo fa è stata fatta trovare una macchina in fiamme, siamo stati noi ad avvertire i carabinieri di zona, se è stato un caso o un messaggio prima o poi lo si capirà…».

Proprio qui ricorderete il generale Dalla Chiesa.

«L’ ho visto una volta sola, in accademia. Ci fece lezione, poi ci invitò a pranzo e ci disse: “Vogliate bene ai vostri comandanti e ai vostri colleghi”. Disse proprio così, altro che “governare il personale”, come spiegavano le giacche blu, i burocrati. Per questo, catturato Riina, lo abbiamo fotografato e appeso sotto la sua foto: era la mia promessa di giustizia. Aveva vinto Dalla Chiesa, aveva vinto lo Stato».