Milano, gli arabi padroni della piazza: “Gli italiani sono prigionieri”

Milano “Prima o poi mi ammazzano. Lo so. Ma io non mi muovo. Qua, io ci voglio restare.

E piuttosto di andarmene mi faccio uccidere”. Elisabetta vive a piazzale Selinunte, a San Siro, dall’89. La sua vita in zona, come quella di tanti altri, è scandita da minacce, intimidazioni e offese gratuite lungo la strada. “Era un bel quartiere. Residenziale, non è periferia. Ma adesso non è più nulla”, racconta al Giornale.it. “Qualche giorno fa un signore rientrava dal lavoro e, senza nessuna ragione di fondo, l’hanno picchiato e poi gli hanno spaccato la testa. Ormai neanche al pomeriggio siamo più sicuri a uscire”. (GUARDA IL VIDEO)

In questo quadrilatero della paura tappezzato da case popolari, è raro sentire parlare una parola di italiano. E basta farsi un giro tra queste vie per rendersi conto che la situazione è fuori controllo. Ad ammetterlo è anche Federico Botteli, consigliere Pd del municipio 7: “A San Siro c’è un numero di reati per spaccio, prostituzione e altro che è superiore rispetto alla media di altri quartieri milanesi. Questo è dato anche dal fatto che c’è un’alta percentuale di stranieri ed è oggettivo”, spiega.

I pochi negozi italiani rimasti vengono rapinati di continuo. rimaste gestite da italiani, infatti, le rapine sono all’ordine del giorno. Un negoziante – che per motivi di sicurezza preferisce restare anonimo – ci racconta la sua esperienza. “Sapete quante volte mi hanno minacciato di morte? Questi entrano e ti dicono ‘dammi questo e quello’. E finché non gli dai ciò che vogliono rimangono lì. Ormai è un continuo”, ci racconta. “Io giro armato, non sto scherzando. Ormai non ho alternative”. Gli chiediamo chi sono queste persone che minacciano e rubano. “Sono tutti immigrati. E sapete perché? Per il semplice fatto che qui, di italiani, non ce ne sono più”.

Poco più avanti, entriamo nella farmacia che si affaccia sulla piazza. Non appena vede la telecamera, però, la signora dietro il bancone ci anticipa: “Non voglio rilasciare alcuna dichiarazione per motivi che potete immaginare”. Anche lei, come tanti altri che abbiamo incontrato, preferisce non farsi intervistare. Sono cittadini esasperati, e non vogliono rischiare ulteriormente. Ma, soprattutto, sono cittadini che si sentono ormai stranieri a casa propria. Come Paola, nome di fantasia, che lavora in un bar in zona. “Voglio parlare, ma non voglio essere riconoscibile”, premette. “La maggior parte dei nomadi che vivono qui hanno in mano la prostituzione minorile. Io vedo sempre molte ragazze che si prostituiscono. Questo avviene dentro ad alcuni alloggi occupati”, afferma. “Inoltre, ho diverse amiche italiane che stanno con degli arabi. E da questi prendono anche una manica di botte. All’inizio è tutto rose e fiori, poi, una volta che sanno di averle in pugno, inziano a picchiarle. E loro non si possono più ribellare”.

In una via che si affaccia sulla piazza ci imbattiamo poi in una signora anziana. Cammina a fatica, lentamente. Ci racconta che vive qua da una ventina d’anni, in una casa popolare. Ora è sola, e malata. “Siamo arrivati al punto che è il carcere non è San Vittore – afferma – ma sono le nostre case. Perché dobbiamo essere blindati dentro. Sembriamo tutti agli arresti domiciliari”. E poi conclude: “Io non ne ho la possibilità economica, altrimenti me ne sarei andata”.