Migranti, il piano dei generali: “Ora schierare muro di navi”

Nel 1997 l’allora governo Prodi I ha istituito un blocco navale lungo il canale d’Otranto per impedire nuovi sbarchi provenienti dall’Albania.

Un caso preso spesso come esempio anche negli ultimi mesi caratterizzati da un massiccio esodo di migranti dal nord Africa: da più parti, politiche e non, la possibilità di un blocco navale è stata proposta come soluzione al sempre più imponente flusso migratorio.

“Ma in Albania erano altri tempi. E poi il governo albanese era d’accordo nel fermare la fuga in massa dei migranti”: ad esprimere questa considerazione è stato, intervistato su La Verità, Fabio Mini. Si tratta dell’ex capo di Stato Maggiore del Comando Nato per il Sud Europa, il quale è stato sentito dal giornalista Aldo Forbice assieme a Vincenzo Santo, ex capo di Stato maggiore delle forze Nato in Afghanistan, e Ferdinando Sanfelice di Montefeltro, ex capo di Stato Maggiore della Marina. Tutti e tra hanno concordato su un punto: oggi il blocco navale non si può attuare.

E questo anche al netto delle considerazioni politiche riguardanti l’attuale esecutivo, non certo incline a prendere in considerazione una soluzione così drastica. Il perché lo ha spiegato lo stesso Fabio Mini: “Se una nave italiana assaltasse una nave straniera (anche delle Ong), fuori delle nostre acque territoriali – si legge nelle sue dichiarazioni – verremmo accusati di atti di pirateria e quindi finiremmo sotto processo. Lo stesso vale per un elicottero che atterrasse su una nave straniera”.

Dunque è un problema relativo al diritto internazionale: ogni atto compiuto nell’ambito di un vero e proprio blocco navale, sarebbe illegale con il Paese che lo attua costretto a difendersi (e a pagare) in ambito giudiziario. Tuttavia è anche vero che uno Stato che vuole salvaguardare le proprie coste ha i mezzi per farlo. Non si parlerebbe però in questo caso di blocco navale, bensì di “interdizione”. Occorre cioè persuadere e convincere i mezzi non desiderati a non andare oltre un certo limite. Si tratterebbe di un’azione volta a scoraggiare i barconi o i gommoni usati dagli scafisti a non uscire dai porti.

“Fondamentali gli accordi con gli altri Stati”

Ma anche questa soluzione non è affatto semplice. Subentrerebbe il problema su quali metodi usare per persuadere i trafficanti a cambiare rotta oppure a evitare di salpare dal nord Africa. I maltesi ad esempio più volte hanno intercettato i barconi e hanno loro “consigliato” di tornare in Libia oppure hanno indicato la via per arrivare in Italia. Un’azione di interdizione potrebbe prevedere queste prospettive, tuttavia non è pensabile attuare a lungo termine mosse di questo tipo sia perché subentrerebbero sempre dei rischi e sia perché non sempre possono funzionare.

L’elemento quindi imprescindibile per pianificare una seria azione di interdizione è la collaborazione degli Stati vicini. Nel caso del canale di Sicilia, devono essere Tunisia e Libia a collaborare attivamente affinché i barconi non varchino una determinata soglia: “Oggi siamo in grado di controllare bene il traffico marittimo con i satelliti e con altre tecnologie – ha dichiarato a La Verità l’ammiraglio Ferdinando Sanfelice – Il problema è come costringere le navi clandestine a tornare indietro se superano la linea tracciata. Ecco perché gli accordi con i governi del Mediterraneo sono fondamentali”. Anche perché, come visto di recente, l’Europa non aiuterà l’Italia a bloccare i flussi e dunque il nostro Paese dovrà fare tutto da solo.

Impensabile un blocco navale, tuttavia il governo italiano è in grado di provare difficili ma non impossibili azioni di deterrenza e interdizione. Occorre però attivarsi a livello diplomatico e attuare una seria politica volta a dissuadere i barconi e le navi Ong a varcare determinati limiti, circostanza per il momento non presa in considerazione dall’attuale esecutivo.