“Mi hanno tolto la casa e il figlio: costretto a diventare nomade nel mio Paese”

Il lockdown ci ha tenuto lontani da parenti e amici per quasi tre mesi. Luigi, nome di fantasia di un senza tetto milanese, invece, non vede suo figlio dal novembre dello scorso anno.

“Ho perso la casa e ora sono nomade nel mio Paese”

“Mi sento un nomade nel mio Paese”, ci dice Luigi che nel giugno 2018 ha perso la sua casa di proprietà e gli è stato portato via dai servizi sociali Fabio (nome fittizio) il figlio adolescente, affetto da un ritardo mentale. Sua moglie, invalida al 74%, non può lavorare e lui si è barcamenato finché ha potuto, lavorando precariamente come cameriere. Vivevano tutti e tre nel quartiere Gallaratese di Milano in un appartamento di proprietà di Luigi che nel 2014 è stato posto sotto sequestro giudiziario. “Il condominio mi ha imposto di cederlo perché non riuscivo a pagare le spese condominiali. Ma o pagavo quelle spese oppure sfamavo la mia famiglia”, ci spiega Luigi che attualmente vive nella sua auto, mentre sua moglie ha trovato un alloggio temporaneo più idoneo alle sua condizioni di salute. Il condominio, stando a quanto racconta Luigi, ha presentato un’ingiunzione di pagamento non esigibile mentre l’appartamento era sotto sequestro giudiziario.

“Nel 2017 ho fatto richiesta per la casa popolare, ma nel 2019 mi hanno detto che non ne avevo diritto perché all’epoca ero proprietario di casa. Ora, però, non ce l’ho. Ho rifatto la domanda e sono in attesa di un alloggio”, racconta Luigi che, nel frattempo, per rimettersi in piedi lavora come internal controller in una ditta di spedizioni. “Nei mesi del lockdown ho dovuto spiegare spesso alle forze dell’ordine perché dormissi in auto. Mi è stato chiesto più volte di spostarmi, ma ho sempre spiegato che, per ogni evenienza, dovevo rimanere vicino all’alloggio di mia moglie che è un soggetto a rischio”, aggiunge sconsolato Luigi.

“Ecco come mi hanno portato via mio figlio”

Lui e sua moglie hanno cercato in tutti i modi di accudire al meglio il proprio figlio, facendolo seguire anche dal centro Don Gnocchi. Quando, nel 2015, la situazione è divenuta insostenibile, i due genitori si sono rivolti ai servizi sociali del Comune di Milano e, da quel momento, sono iniziati i loro guai. Al bambino è stato affiancato un educatore che lo aiutava a fare i compiti, ma “questa persona non era altro che gli occhi e le orecchie dell’assistente sociale la quale ha mandato tutto al giudice e nel giugno 2018 ci hanno portato via nostro figlio”, rivela Luigi. Tra la fine del 2018 e l’inizio del 2019, infatti, la coppia scopre casualmente che, a carico della madre di Fabio, pende fin dal 2016 una denuncia per maltrattamenti. Quel che è ancora più strano è che, ora, il bambino è stato affidato ad una comunità in Piemonte e i genitori non riescono a vederlo dal novembre 2019. “Non abbiamo mai capito perché abbiano mandato nostro figlio in una località raggiungibile in auto con due ore e mezza di viaggio. Possibile che non ci fosse un posto a Milano che lo accogliesse?”, si chiede Luigi che aggiunge: “Prima avevamo degli incontri quindicinali, poi ho litigato con un’operatrice che, per ripicca, ha fatto in modo di impedirci di vedere nostro figlio”. A bloccare gli incontri e il possibile ritorno di Fabio a Milano, poi, ci ha pensato anche il coronavirus.

La versione dell’avvocato Miraglia

L’avvocato Francesco Miraglia, che segue la vicenda di Luigi, ci spiega che “sì, il tribunale teoricamente dovrebbe avvertire quando indaga su qualcuno, ma molte volte si viene avvisati del procedimento penale solo a conclusione delle indagini”. E questo è il motivo per il quale la coppia non era a conoscenza della denuncia presentata a carico della madre di Fabio. “In questo caso, poi, non è stato neanche aperto il procedimento e, di fatto, non ci sono stati maltrattamenti. Tutta questa situazione è stata evidentemente generata dall’educatore e dalla superficialità dei servizi sociali”, attacca l’avvocato Miraglia che aggiunge: “Ci devono ancora spiegare perché per Fabio non è stata trovata una comunità nei dintorni di Milano così da facilitare gli incontri con i genitori”. Il motivo per cui il figlio di Luigi è stato mandato in un’altra Regione è “sicuramente che il Comune ha una convenzione con questa struttura…Tanto paga pantalone”, attacca il legale che ancora non si spiega perché il tribunale non abbia consentito il ritorno a Milano di Fabio per Natale così come prospettato nei mesi precedenti. “Al momento non abbiamo avuto risposta e, dunque, mi chiedo: Chi ci guadagna?”, conclude l’avvocato.