Mes, ecco che cos’è e perché può far cadere il governo
Sulla riforma del Mes si gioca la tenuta del governo giallorosso. Il rapporto politico e personale tra Giuseppe Conte e Luigi Di Maio si sta logorando, mentre in questo continuo susseguirsi di dichiarazioni e di accuse reciproche non è ancora chiaro quali siano i contenuti di tale riforma.
Che cos’è il Mes?
Dal punto di vista tecnico, il Mes, meccanismo Europeo di Stabilità, è un ente intergovernativo dell’Unione Europea con sede a Lussemburgo. A guidarlo c’è il Board of Governors con a capo il presidente dell’Eurogruppo Mario Centeno che coordina il lavoro dei ministri finanziari dell’area euro, i quali, a loro volta, scelgono i membri che faranno parte del Board of Directors. Klaus Regling è il direttore generale che presiede le riunioni di questo secondo Board, ma opera seguendo le indicazioni del primo Board. Il Presidente della Bce e il Commissario europeo agli Affari Economici, invece, partecipano come osservatori. Nasce nel 2012 per fornire aiuti a quei Paesi dell’area euro che rischiano il default così da salvaguardare anche la tenuta finanziaria degli altri Stati membri.
Il Mes ha un ‘tesoretto’ potenziale di ‘700 miliardi di euro: 620 possono essere ottenuti attraverso l’emissione di bond, mentre gli altri 80 provengono da una sorta di ‘colletta’ effettuata tra i vari Stati membri. Il primi tre contribuenti sono Germania (27,1%), Francia (20,3%) e Italia (17,9%) e, finora il nostro Paese ha versato ben 14,3 miliardi. Finora il Mes ha concesso prestiti a Irlanda, Portogallo, Grecia e Cipro e ha aiutato la Spagna con la ricapitalizzazione indiretta delle banche. Secondo quanto si legge sul Sole24ore, potrebbe anche acquistare titoli sul mercato, effettuare una ricapitalizzazione diretta e dettare le linee di credito precauzionali, ma tali strumenti non sono ancora stati adoperati. Per accedere a tali aiuti il Paese economicamente in difficoltà deve firmare un protocollo d’Intesa che viene negoziato con la Commissione Europea, la quale opera a nome del Mes. In sintesi, l’Unione Europea presta soldi in cambio di determinate riforme fiscali (taglio della spesa pubblica), strutturali (misure a favore della crescita) e finanziarie (eventuale ricapitalizzazione delle banche). Esistono due linee di credito: la PCCL (Precautionary Conditioned Credit Line) cui possono accedere i Paesi con una situazione economico-finanziaria solida e l’ECCL (Enhanced Conditions Credit Line), dedicata a quei Paesi come l’Italia che hanno un rapporto debito/Pil superiore al 60%. Altri Paesi che si trovano nella nostra stessa condizione sono la Grecia, il Portogallo, il Belgio, Cipro, l’Irlanda, la Slovenia ma anche la Spagna, la Francia e l’Austria.
Le modifiche del Mes e i pericoli per l’Italia
Al Paese in crisi potrebbe anche essere chiesta la ristrutturazione del proprio debito ed è su questo che si gioca la vera partita. Le modifiche al Mes, decise all’Eurogruppo di giugno (ma non ancora entrate in vigore) riguardano il backstop al Fondo di risoluzione unico delle banche europee che servirebbe ad aiutare gli istituti finanziari in crisi e la ristrutturazione del debito pubblico (riduzione concordata del valore del prestito fatto) che verrebbe di molto agevolata. La riforma prevede, infatti, un voto unico di tutti i creditori anziché un voto separato per ogni titolo di Stato detenuto. La Francia e la Germania, essendo i creditori maggiori, potrebbero decidere le sorti dei Paesi più deboli. L’articolo 12 del Trattato, inoltre, come abbiamo già spiegato, pone come prioritaria la “stabilità finanziaria della zona euro nel suo complesso” rispetto a quella del Paese in crisi e, pertanto, gli strumenti a disposizione del Mes sono usati “nella prospettiva del creditore”, anche per le banche in difficoltà. L’aiuto finanziario non corrisponderebbe, quindi, a un “salvataggio”, ma ad una sorta di prestito basato su un complesso sistema di clausole. Il Paese debitore verrebbe di fatto commissariato. L’articolo 3 del Trattato stabilisce, infatti, che il Mes e la Commissione europea possono monitorare la situazione economica dello Stato in crisi indipendentemente dal fatto che questi abbia chiesto di essere aiutato oppure no.
Le posizioni politiche in campo
Per questi motivi il sovranista Matteo Salvini è salito sulle barricate sostenendo che il premier Giuseppe Conte abbia trattato sottobanco con l’Ue una riforma senza il consenso della Lega. “Non firmiamo un cazzo”, è la frase che l’allora vicepremier aveva fatto rimbalzare in estate nelle chat dei parlamentari del Carroccio. Sulla stessa lunghezza d’onda sembra essersi orientato anche Luigi Di Maio che si è mostrato scuro in volto mentre il premier Giuseppe Conte riferiva in Aula, alimentando dubbi d’ogni tipo sul modo in cui lui e l’ex ministro Giovanni Tria hanno condotto la trattativa. Il capo politico del M5S, in un post su Facebook, ha chiesto un rinvio e ha chiarito ulteriormente la sua posizione: “In qualità di Ministro degli Esteri dovrei firmare il Mes o delegare questa firma ad un rappresentante del corpo diplomatico. Questa firma ci impegnerà per i prossimi 50 anni. Finché non avremo la certezza al 200% che l’Italia sarà al sicuro, non apporrò nessuna firma”. Posto che le modifiche al Mes non entreranno in vigore se il Parlamento italiano non le ratificherà, la situazione politica appare alquanto ingarbugliata. Se negli scorsi giorni il ministro dell’economia Roberto Gualtieri ha difeso la riforma spiegando che: “il testo del trattato è chiuso”, Conte su La Stampa non ha escluso la possibilità di firmare l’accordo con riserva in attesa che si completi il percorso dell’Unione bancaria secondo le indicazioni fornite dall’Italia. Un’eventualità che appare esclusa, almeno stando a quanto affermato dal portoghese Centeno che considera già chiuso l’accordo politico e fissa per il prossimo anno la firma definitiva del Trattato: “Abbiamo preso una decisione a giugno – ha poi chiosato – ora possiamo solo affrontare questioni tecniche”.”