Medici di famiglia, la proposta di riforma: formati dall’università e dipendenti. Cosa cambia
Il futuro della medicina di base italiana entra in una nuova fase di confronto e trasformazione. Dopo anni di dibattiti, tentativi di riforma e resistenze da parte delle sigle sindacali, le Regioni hanno presentato una bozza di riforma destinata a rivoluzionare il rapporto tra lo Stato e i medici di famiglia, aprendo la strada a un sistema più flessibile e adattabile alle esigenze territoriali.
Un passo avanti tra criticità e opportunità
Il documento, che sarà ora sottoposto all’attenzione del Ministero della Salute, propone un quadro innovativo in cui le Regioni potranno scegliere tra tre modelli di organizzazione: mantenere i medici in regime di convenzione, assumerli come dipendenti pubblici o adottare un modello misto. Questa proposta rappresenta un importante passo avanti rispetto all’attuale predominanza del rapporto convenzionale, spesso criticato per la sua rigidità e per la scarsa integrazione con il sistema pubblico.
Il testo si rifà alla legge 833 del 1978, che già prevedeva la possibilità di impiegare personale dipendente o convenzionato per l’assistenza primaria, lasciando ai cittadini la libertà di scegliere il proprio medico tra queste due figure. Tuttavia, nel corso degli anni, la prassi si è orientata verso il convenzionamento, spesso criticato per la sua incapacità di garantire un’assistenza più integrata e di qualità.
Resistenze e sfide politiche
Nonostante i segnali di innovazione, la riforma si scontra con le forti resistenze dei sindacati medici, contrari a modifiche dello status giuridico dei professionisti. La loro opposizione rappresenta uno degli ostacoli principali nel percorso di attuazione, che si preannuncia complesso e ricco di tensioni politiche.
Tuttavia, la bozza regionale segna una rottura con il passato, aprendo a nuove modalità di reclutamento e formazione. Tra le novità più significative, la proposta di un sistema formativo uniforme, gestito dalle Università, che prevede la specializzazione in aree come geriatria e cardiologia, per favorire un collegamento più stretto tra medicina generale e specializzazioni.
Percorsi di transizione e nuove opportunità
Per agevolare la transizione, il documento prevede percorsi semplificati per i medici convenzionati che desiderano passare al regime di dipendenza pubblica, riconoscendo titoli ed esperienze pregresse. Questa possibilità, non obbligatoria, potrebbe rappresentare un incentivo soprattutto per i più giovani o in aree con carenze di personale.
Inoltre, si prospettano nuove formule di accreditamento per i medici convenzionati, con l’obiettivo di rafforzare le strutture territoriali come le Case della Comunità, previste dal PNRR, e di garantire un’offerta di assistenza più capillare e qualificata.
Un equilibrio tra autonomia regionale e garanzie nazionali
Il progetto delle Regioni si configura come un delicato equilibrio tra autonomia gestionale locale e la necessità di garantire un sistema sanitario uniforme e accessibile su tutto il territorio nazionale. La complessità normativa, le divergenze con i sindacati e le incognite politiche rendono ancora incerto l’esito finale di questa riforma.
L’urgenza di ripensare il ruolo del medico di famiglia e di rinnovare il sistema di assistenza territoriale è ormai evidente. La bozza rappresenta un tentativo concreto di rispondere a questa esigenza, ma ora tutto dipenderà dalla volontà del governo di raccogliere questa sfida o di lasciare tutto com’è, rischiando di perdere un’occasione storica di innovazione.