“Lotta impari, ecco perché abbiamo perso”. L’attacco dal Pd dopo le elezioni, esplode la polemica

Le prime tornate dell’autunno politico 2025 mandano un segnale chiaro alle forze di centrosinistra: in Marche e Valle d’Aosta il campo progressista resta tagliato fuori dal governo regionale, e il giudizio degli elettori sembra orientarsi verso una nuova configurazione della politica locale, meno definita da leadership nazionali e più ancorata a radicamenti e contenuti concreti. Dopo i risultati, i vertici Pd e alleati non sembrano essere in grado di offrire una narrativa convincente di alternativa, né di restituire fiducia a un elettorato sempre più lacerato tra opposizione, gestione quotidiana e identità politica.

Nelle Marche la sconfitta è doppia: il calo stimato dal sondaggista Lorenzo Pregliasco di YouTrend per il Movimento 5 Stelle, che potrebbe attestarsi su una perdita di fin qui due punti percentuali rispetto al 2020, si accompagna alla débâcle del candidato democratico Matteo Ricci. Il Pd, puntando su Ricci e sull’esperienza della gestione a Pesaro, si era convinto di poter capitalizzare una vittoria regionale in un contesto che pareva aperto, ma la realtà dei numeri ha posto una linea di frattura tra le aspettative e la volontà degli elettori.

All’indomani del voto, Ricci ha provato a interpretare la sconfitta come frutto di un campo di gioco sbilanciato a sfavore della sinistra: “Le forze in campo erano sbilanciate. Per ogni nostro manifesto ce n’erano dieci degli altri. È stata una lotta impari”, ha dichiarato in conferenza stampa. Una lettura che, tuttavia, risulta contraddittoria se si considera l’origine dell’apparato di potere locale su cui si è poggiato il candidato: Ricci è stato a lungo sindaco di Pesaro, la città capoluogo regionale, e parte del tessuto di relazioni politiche ed economiche che tipicamente sostengono una candidatura di questa natura.

In un altro passaggio, Ricci ha spostato la lente sull’avversario politico più grande: ha sostenuto che la vera avversaria non fosse Acquaroli, ma Giorgia Meloni, insinuando che l’atteggiamento della premier in campagna elettorale sarebbe stato esposto troppo. L’analisi, quantomeno, è discussa: l’idea di una “assurda” strumentalizzazione mediatica della destra non convince chi ricorda come, nei contesti di sinistra, simili accuse siano spesso contrappuntate dall’uso strumentale di questioni processuali o di notizie incrociate per motivare una base.

Un’altra componente della discussione post-elettorale riguarda l’impatto delle indagini e degli avvisi di garanzia. Ricci ha evocato l’avviso ricevuto da Meloni durante la campagna, definendolo un elemento che ha segnato negativamente la sua campagna: “Mi ha colpito profondamente, così come la sua strumentalizzazione mediatica da parte della destra”. L’analisi della destra, peraltro, è spesso vista con sospetto da chi si sente vittima di una narrazione politica che usa i processi come arma di campagna. In questo senso, la lettura di Ricci può apparire come una domanda di maggiore neutralità, ma rischia di dare l’impressione di usare la retorica come alibi.

Sul fronte interno al centrosinistra, il dibattito resta alimentato dall’interrogativo sulla coerenza strategica della coalizione. Il responsabile organizzazione del partito, Igor Taruffi, ha ribadito la scelta: “È l’unico modo per tornare a governare”, cioè la coalizione ampia come fondamento, indipendentemente dai limiti evidenziati dall’esito elettorale. Ma la valutazione di Taruffi cozza con una percezione diffusa: la coalizione è vista come una “macchina priva di una bussola identitaria” che funziona per contrastare la destra, ma non per costruire un progetto di lungo periodo. In questa cornice, la coalizione appare come un assemblaggio di realtà locali più che come una proposta politica capace di durare oltre il turno elettorale.

Anche Giuseppe Conte, figura di rilievo del Movimento 5 Stelle, ha ammesso la necessità di una riflessione: “Ai cittadini marchigiani abbiamo offerto una seria proposta alternativa. Ma dobbiamo riconoscere che non ha convinto la maggioranza degli elettori”. L’ammissione, pur doverosa, non pare sufficiente a spiegare la perdurante erosione di consenso del M5S, che resta una forza non completamente ancorata a riferimenti chiari di programma, rischiando di diventare un requires-sintomo della fragilità del centrosinistra stesso.

Una lettura emersa anche da parte di figure vicine al campo dell’alleanza è quella della “radicalizzazione del Pd”. Daniela Ruffino, deputata di Azione, sostiene che “il Pd radicalizzato della Schlein esce sconfitto. Gli elettori non hanno premiato nemmeno il M5S. È evidente che una parte consistente dell’elettorato ha respinto un centrosinistra di sola opposizione, incapace di governare”. In questa cornice, l’analisi mette in evidenza una domanda centrale: è possibile ricostruire una proposta politica credibile se il centro della narrazione è essenzialmente oppositivo, senza una proposta concreta di governo?

In Valle d’Aosta, il copione si ripete: un asse autonomista ha vinto, e il Pd insieme agli alleati resta fuori dal tavolo della governabilità. Anche qui si registra la difficoltà di radicamento locale e la mancanza di una proposta politica coerente che sia accettabile agli occhi degli elettori. Il quadro marchigiano-valdostano delinea un problema di identità, leadership e contenuti che attraversa l’intero campo progressista, non solo come problema tattico ma come tema di sostanza: cosa propone il centrosinistra a coloro che non si riconoscono né nel modello nazionale né nei vecchi schemi di gestione?

A monte di tutto resta una domanda cruciale per il prossimo ciclo elettorale: quale identità vuole avere il centrosinistra in regioni come Marche e Valle d’Aosta? È possibile costruire una proposta politica credibile che si distingua dall’alternativa conservatrice e che, soprattutto, sia capace di governare con una visione di sviluppo economico, coesione sociale, sanità e servizi pubblici? Il tema non è solo di leadership, ma di contenuti e di capacità di tradurre questi contenuti in politiche pubbliche efficaci.

Per gli osservatori, il rischio è che la frattura tra una sinistra radicalizzata e una sinistra riformista rischi di diventare irreparabile se non si trova una sintesi capace di attrarre una larghissima parte dell’elettorato, anche di coloro che hanno espresso malcontento ma non si riconoscono nel linguaggio dell’opposizione per l’opposizione. Una sintesi che non sia un semplice “campo largo contro la destra”, ma una piattaforma di governabilità concreta, con proposte territoriali, finanziamenti mirati, valorizzazione delle autonomie locali e una narrazione di fiducia verso i cittadini.

La riflessione è già aperta tra i dirigenti: come trasformare una sconfitta regionale in una strategia convincente per il futuro? In attesa di risposte, Marche e Valle d’Aosta offrono una cartina di tornasole preziosa: non basta costruire una coalizione per battere la destra; serve una proposta politica informata, radicata e credibile, capace di incidere sui bisogni reali degli elettori e di restare governabile nel tempo. E soprattutto, serve una leadership in grado di guidare una rinascita credibile del centrosinistra, non solo una coalizione tattica nata per vincere le urne.