Le mani di Berlino sulle nostre pensioni: ecco che cosa ci aspetta

Il sogno europeo passa da Berlino, o meglio, dalle mani della cancelliera Angela Merkel. È da qui che si incrociano le strade dell’Italia e del futuro dell’Ue. Roma riuscirà a convincere i burocrati di Bruxelles in vista di un possibile accordo sul Recovery fund? La Merkel, in vista del prossimo vertice, chiede rassicurazioni e le pensioni sono al centro di tutto.

Dalla cancelleria di Berlino arriva a Palazzo Chigi una domanda: che cosa intendete fare delle pensioni? Nessuna richiesta precisa. Ma è la stessa domanda che Merkel rivolgeva al collega italiano quando, nel 2018, il governo gialloverde si preparava a varare Quota 100. Giuseppe Conte, naturalmente, aveva fatto sapere a Merkel che non avrebbe prorogato oltre il 2021 il sistema del ritiro anticipato voluto dalla Lega. Ma l’interesse della cancelliera su questo punto, in vista del vertice che deve salvare l’Italia dalla peggiore recessione degli ultimi 50 anni, fa capire quanto il debito pubblico di Roma la preoccupi ancora.

Il nodo Quota 100

Quota 100 per ora resta. Potrebbe non essere toccata fino alla fine del triennio di sperimentazione, fino cioè al 31 dicembre 2021. Ma è sul tavolo del governo l’idea di rivederla insieme ai sindacati. Poco prima del lockdown il governo Conte bis si preparava, infatti, ad offrire ai sindacati una nuova riforma delle pensioni – anche chiudendo Quota 100 un anno prima – e la parola potrebbe essere mantenuta.

Agli Stati generali Cgil, Cisl e Uil hanno fatto capire che il tempo non è molto per impostare una riforma strutturale delle pensioni e nell’attesa studiare nuove forme di flessibilità in un contesto stravolto dal Covid. Non a caso, la ministra del Lavoro, Nunzia Catalfo, promette che i tavoli con i sindacati ripartiranno a breve: “Ho già inviato un messaggio alla presidenza del Consiglio e in breve tempo potremo riprendere il filo del discorso. C’è la volontà di affrontare il tema della flessibilità in uscita da dare ai lavoratori più anziani, implementare la staffetta generazionale o usare gli strumenti della solidarietà espansiva”.

Che succede a quei lavoratori che dopo una vita accarezzano l’ultimo quarto di miglio? Soprattutto dopo questa pandemia che ha ribaltato il mercato del lavoro? Ecco affacciarsi tre ipotesi: isopensione, fondi bilaterali, contratto di espansione. Sono le possibilità di uscita anticipata dal lavoro. Nuovi modi di andare in pensione. E al centro del dibattito politico negli ultimi tempi. Si tratta di uno scivolo finanziato direttamente dall’azienda a cui hanno donato anni della loro esistenza. Sono tre strade che potrebbero essere intraprese dalle aziende per gestire la crisi da coronavirus.

L’aumento dell’età pensionabile

Ma le notizie sul fronte previdenziale non sono finite. Per il biennio 2021-2022 l’Inps ha bloccato l’aumento dell’età per andare in pensione. I rilevamenti Istat pubblicati nel mese di ottobre 2019 hanno registrato un incremento della speranza di vita della popolazione minimo, quindi pari a zero, ai fini dell’adeguamento dei requisiti pensionistici. Ma dal 2023 ci sarà un aumento dell’età pensionabile adeguato alla stima di vita dell’Istat.

È stata l’odiata Legge Fornero (anno 2012) a introdurre la regola di una valutazione periodica (triennale fino al 2019 e poi biennale) dell’incremento della speranza di vita a cui ricollegare l’età per l’accesso alla pensione di vecchiaia, ai fini di un contenimento della spesa pensionistica su livelli sostenibili a lungo termine.

L’innalzamento dell’età pensionabile a 67 anni è scattato il primo gennaio 2019 e sarebbe in vigore fino alla fine del 2020. Con il nuovo decreto sarà valido anche nel biennio 2021-2022. Una nuova valutazione sarà effettuata per il biennio 2023-2024 e il requisito, secondo la legge potrà aumentare al massimo di 3 mesi, arrivando quindi a 67 anni e 3 mesi.

Il taglio agli assegni

E così arriviamo ad affrontare un tasto dolente. Anche gli assegni dovranno fare i conti con lo tsunami del Covid che ha stravolto un Paese. Bisogna prepararsi, cioè, a fare i conti con una erosione degli importi dovuta proprio al cambiamento radicale degli scenari economici in questo 2020. Per il momento a rischio ci sono gli assegni di chi deve lasciare il lavoro nei prossimi mesi e nei prossimi due-tre anni. Ma la botta con cui fare i conti non è certo leggera.

Già perché, con un crollo del Pil del 10% con un effetto rimbalzo del 4% negli anni 2021 e 2022, i lavoratori che lasceranno il posto rispettivamente nel 2023 e nel 2033 subiranno un taglio dell’assegno tra il 2 e il 4 per cento. Attenzione però a questa seconda ipotesi. Nel caso in cui dovesse verificarsi un blocco dell’economia più prolungato, allora gli scenari sarebbero davvero peggiori. Un lavoratore anziano che va via a stretto giro sostanzialmente subirà una perdita quasi a zero. Ma chi invece andrà via tra qualche anno allora dovrà fare i conti, con una sforbiciata ben più pesante: si perderebbe sull’assegno tra il 6,6 e il 6,7%.

Si parla di effetto Covid. Qualcosa che avrà conseguenze non da poco sugli assegni previdenziali. E chissà cosa ne pensano la signora Merkel e l’Europa di questa ennesima batosta.