L’accusa di Burattino? Arriva da quello stesso Belgio governato da politici accusati di pedofilia: quello scandalo che nessuno ti ricorda

Caro verhofstadt, gli italiani lezioni dai Belgi PEDOFILI ;non le accettano.

Il Belgio è stata la peggiore e più abietta potenza coloniale del mondo, e i belgi dei veri animali sotto le mentite spoglie di esseri umani civilizzati. E animali lo sono rimasti per parecchio, almeno fino a quando abbandonarono la colonia negli anni ’60.Lo sfruttamento della popolazione indigena e la disumanità furono portati da questa gentaglia al parossismo. Le mutilazioni per punizione erano all’ordine del giorno.
La nota e diffusa pedofilia dei belgi nasceva proprio lí, in Congo, dagli abusi sui minori neri di entrambi i sessi che – ipse dixit – sarebbe stata prassi diffusa tra i belgi in colonia. Leopoldo II che era il “padrone” di quelle terre, fece fuori una decina di milioni dei suoi sudditi, solo tra il 1885 ed il 1907, ma fino alla decolonizzazione degli anni ’60 andò comunque avanti così, alla faccia dell’immagine del popolo belga “pacifico” e “illuminato”. E se qualcuno ha poca memoria coi poveri negri si ricordi almeno degli Italiani che con l’accordo del “carbone” andavano o venivano mandati a fare i minatori in Belgio e collocati per anni in veri campi/ghetti in quanto ritenuti esseri inferiori.
ECCO COSA DICEVA IL ‘MOSTRO DI MARCINELLE’ NEGLI ANNI ’90

Tratto da La Stampa
Dutroux: in Belgio una rete di pedofili protetta dalla polizia
«IN Belgio esiste una rete di pedofilia, con ogni sorta di ramificazioni criminali, ma la giustizia non vuole indagare su questa pista». Potrebbero essere le parole di un mitomane alla ricerca di notorietà, ma queste dichiarazioni provengono dal più terribile dei pedofili, Marc Dutroux, arrestato nell’estate del 1996 per il rapimento, lo stupro e infine l’assassino di sei bambine, seppellite nel giardino della sua casa. Dopo cinque anni e mezzo di detenzione preventiva in attesa di un processo che tarda ad arrivare per la mole di carte, testimonianze e verbali da esaminare, Dutroux torna a parlare, anzi parla per la prima volta diffusamente lanciando dei segnali nell’unica direzione dove finora era rimasta una totale zona d’ombra: la rete criminale che l’avrebbe potuto coprire. Quanto basta per far ripiombare un Paese nello sgomento.
E’ successo ieri in Belgio alla notizia che la televisione privata fiamminga «VTM» avrebbe diffuso questa sera una lunga intervista realizzata nello stesso carcere di Arlon, nel Sud del Paese, dove Dutroux è recluso. Cinquanta minuti di intervista «rubata» dal giornalista Thomas Van Hemeldonck, che facendosi passare per l’autista di un senatore, si è introdotto nella cella del pedofilo accompagnando il politico. Jean-Marie Dedecker, il senatore liberale artefice della messa in scena si trova adesso nell’occhio del ciclone per aver riaperto l´«affaire». Nell’intervista Dutroux parla della detenzione, dei suoi problemi di salute, dei vuoti di memoria e poi arrivano le accuse, gettate lì, quasi per caso, come se l’imputato numero uno del Belgio non si rendesse conto che l’istruttoria del processo è stata lunga anche a causa di quell’anello mancante, la rete di pedofilia che avrebbe usato Dutroux come «guardiano» per «usare» le bambine e poi disfarsene.
Adesso l’istruttoria è arrivata alla fine e proprio la settimana prossima il giudice Jacques Langlois, responsabile della preparazione del processo dovrebbe chiudere le indagini e dare appuntamento alle parti a fine anno per l’inizio del processo. E proprio ora, con un tempismo eccezionale, Marc Dutroux comincia a parlare. «Io ho solo tenuto le bambine, non le ho violentate. Ho avuto contatti regolari con le persone di questa rete, ma la giustizia non vuole indagare». Se fosse vero sarebbe una bomba per questo Paese che fin dall’inizio dell’inchiesta sulla pedofilia ha escluso l’esistenza di un altro livello criminale, oltre al semplice «pedofilo e killer seriale isolato».
Un’inchiesta quella su Dutroux che ha spaccato il Paese sei anni fa e contribuito, insieme ad altri scandali a far cadere il cinquantennale potere dei democristiani. Nell’estate di cinque anni e mezzo fa i belgi s’interrogavano con angoscia sul futuro delle numerose bambine scomparse in precedenza. Poi, una mattina di agosto, nel giardino di casa Dutroux vennero ritrovati i corpi di Julie e Melissa, Ann et Eefje, le prime due lasciate morire di stenti in una cantina, mentre lo stesso Dutroux si trovava in carcere per furti d’auto. E’ la psicosi collettiva. Si cercano i potenti colpevoli dietro il ladro d’auto che ha rapito le bambine. Vengono fuori nomi di imprenditori, industriali e politici, come il leader del partito socialista d’origini italiane, Elio di Rupo. Niente di serio, nessuna prova, nessuna testimonianza credibile per il giudice d’istruzione Langlois che definisce Dutroux «un perverso isolato». Alla fine l’opinione della maggioranza della gente che ha seguito il caso è che non esista la rete della pedofilia e Dutroux ha potuto operare indisturbato a causa delle negligenze della gendarmeria locale. Per i genitori delle vittime questo teorema non ha senso. «Che bisogno aveva Dutroux, perfettamente capace di intendere e di volere, di rapire contemporaneamente fino a sei bambine?» si chiede Gino Russo, padre di Melissa, raccogliendo lui stesso, nel salone di casa, tutto l’incartamento su Dutroux. Ora Gino Russo, raggiunto al telefono vicino Liegi, mostra soddisfazione per le parole di Dutroux, «ma – avverte – potrebbe essere tutta una strategia per rimandare ancora il processo e aprire nuove indagini inutili. Finché Dutroux non comincia veramente a collaborare con la giustizia fornendo nomi e fatti, la sua resta soltanto una provocazione». Intanto, questa sera, i belgi staranno incollati alla televisione per vedere la versione integrale dell’intervista all’uomo che più di ogni altro ha scosso le loro coscienze.
tratto da Repubblica del 1996
PEDOFILIA, GAFFE DEL BELGIO
BRUXELLES – Nessuno sorride di fronte all’ ennesima gaffe belga. E’ ancora una giornata dura per questo paese mentre sui giornali dilagano rivelazioni contraddittorie e il Parlamento chiede alla magistratura di approfondire le indagini preliminari sulle accuse di pedofilia lanciate contro Elio Di Rupo e Jean-Pierre Grafé, rispettivamente vicepremier e ministro regionale francofono dell’ Istruzione, prima di metterli formalmente in “stato d’ accusa”. C’ è un intero campionario di gaffe attribuite ai belgi, note come ‘ histoires belges’ . Sono spesso feroci e quasi sempre ingiuste, come le barzellette italiane sulla presunta ottusità dei carabinieri. Ma quella di ieri è storia vera che i belgi si sarebbero potuti risparmiare. Si svolgeva a Bruxelles un Consiglio dei ministri europeo dell’ Istruzione per esaminare, tra l’ altro, una risoluzione sulla protezione dell’ infanzia e la lotta contro la pedofilia. E il governo belga ha creduto opportuno farsi rappresentare proprio da Jean-Pierre Grafé, arrivato in ritardo e uscito in anticipo per evitare la stampa. Non ha sorriso proprio nessuno, ieri. La presidente di turno del Consiglio, l’ irlandese Niamh Bhreathnach, ha risposto imbarazzata a una domanda rivoltale nel corso della conferenza stampa che ha concluso i lavori. No, la signora Bhreathnach non sa chi rappresentasse il Belgio; ha visto che la quarta sedia sulla sua sinistra era occupata – è il posto assegnato al Belgio al tavolo della riunione – ma non sa dire chi ci fosse. L’ essenziale, precisa, è che “il Consiglio ha approvato all’ unanimità una risoluzione che esprime solidarietà alle piccole vittime di atti immondi ed impegna tutti i paesi a iniziare nella scuola, con le dovute cautele, un’ azione preventiva contro la pedofilia”. Di Rupo si dibatte alla Camera per “salvare il suo onore” e ottiene almeno che, prima di accusarlo formalmente, la magistratura acquisisca nuovi elementi; Grafé è sempre più piegato sotto il peso di rivelazioni pesanti e circostanziate: una denuncia contro di lui per pedofilia, presentata nel 1984, è stata insabbiata e la mamma della vittima, all’ epoca assessore al Comune di Liegi, è stata isolata e privata di ogni incarico. No, non è una giornata per sorridere. Fra i ministri presenti al Consiglio dell’ Unione europea accetta di parlare solo Luigi Berlinguer. Premette che “occorre prima accertare e poi condannare” e ricorda che sono stati proprio i belgi a sollecitare un impegno europeo contro la pedofilia. Aggiunge però che “nella sfera politica non c’ è solo il diritto, c’ è anche l’ opportunità, la valutazione della convenienza o no di certi comportamenti. Nel dubbio, la saggezza politica dovrebbe aiutare”. Insomma, par di capire, sarebbe stato meglio se Grafé fosse rimasto a casa. Ma ha sentito imbarazzo il ministro italiano? “Imbarazzo è poco – risponde – più che imbarazzo ho sentito la grande drammaticità del problema“. Drammaticità: è il solo termine che si adegua al Belgio di queste ore. E’ distrutto Elio Di Rupo, anche se i suoi colleghi della Camera, quando hanno aperto il fascicolo d’ accusa inviato in Parlamento dalla magistratura, vi hanno trovato solo la testimonianza di una persona, Olivier T., che in tre successivi interrogatori ha spostato progressivamente all’ indietro la data dei suoi asseriti amori col vice-premier fino a farla coincidere con i suoi quindici anni. Nella prima versione ne aveva 20 e poi 17, dunque, agli occhi della legge belga, non scattava automaticamente il reato di violenza carnale. E in un interrogatorio del 28 ottobre, di fronte alla gendarmeria, Olivier parla di “partouzes con minorenni ai quali avrebbe partecipato Di Rupo”. Poi precisa, e i gendarmi maliziosamente verbalizzano, di sapere della partecipazione del vice-premier “da membri della polizia che sembravano particolarmente interessati a Di Rupo per la sua posizione politica”. Così diventa impossibile distinguere il vero dal falso, capire chi manipola e a che scopo. Comincia a farsi strada l’ impressione che il “caso Di Rupo” possa essere un nuovo episodio della guerra fra gendarmeria e polizia che già tanti guasti ha provocato in questo paese. Ieri il premier Jean-Luc Dehaene ha espresso, per la prima volta, pubblica solidarietà al suo vice che ha escluso per ora ogni ipotesi di dimissioni.