La Svizzera ci rimanda gli immigrati: ‘spogliati, legati e incappucciati’. Come mai tacciono tutti?

Una testimonianza degna di nota è quella di due migranti, lui del Camerun e lei della Costa d’Avorio, cacciati dalla Svizzera insieme alla loro bimba, e spediti in Italia.

Raccontano a Repubblica il loro viaggio che li ha condotti in Svizzera, dopo aver attraversato l’Italia, dove hanno vissuto per un anno con un permesso di soggiorno provvisorio.

Dopodichè, in nome del famoso Trattato, in qualità di “dublinanti“, sono stati rispediti in Italia, con metodi piuttosto discutibili.

“In manette, le catene ai piedi, picchiati e incappucciati. E volevano anche toglierci la bambina, che non aveva ancora un anno, perché lei è nata a Berna. Ma noi non l’avremmo lasciata mai”, racconta la coppia sempre a Repubblica. Ora sono a Napoli, nel centro di accoglienza gestito dalla ong Laici Terzo Mondo.

Dopodichè hanno spiegato le dinamiche dell’arrivo della polizia elvetica, quando in realtà avevano già firmato le carte per il trasferimento:

“Non c’era motivo di tanta violenza. Ci hanno trattato come bestie. Ero sola con la piccola che aveva otto mesi. Mio marito era uscito a comprare qualcosa. Quando ho aperto i poliziotti mi hanno aggredita: ‘C’è un aereo pronto per te’. Io non volevo andare senza Joelson. ‘Voglio aspettare mio maritoì. Stavo andando a prendere la bimba quando mi hanno afferrato per la braccia, messo le manette ai polsi e una catena ai piedi. La bimba piangeva: ‘Fatemi dare da mangiare a mia figlia’, ho chiesto. Ma loro hanno cominciato a picchiarmi e a dirmi che dovevo spogliarmi. Mi hanno chiusa nella stanza con otto poliziotte, mi hanno strappato i vestiti, tagliato le treccine e messo le mani ovunque. ‘Perché mi fate questo?’. ‘Quando rimpatriamo quelli come te alcuni prendono medicine e si suicidano’”.

La polizia avrebbe anche picchiato il marito, intanto rincasato, per poi incappucciarli tutti e fatti salire di forza su due minivan.

Di seguito alcuni stralci del loro racconto, riportati da IlGiornale:

“Ho visto Tatiana solo in aeroporto, stava molto male e vomitava“, racconta Joelson, “Non sapevamo dov’era nostra figlia. ‘Dovete andare via adesso e basta’, urlavano’”. “Mi hanno messo un casco nero sul cappuccio, un nastro sulla bocca e ci hanno fatto salire sull’aereo”, prosegue lei, “Era un aereo piccolo solo per noi e per la polizia. Ci hanno legato ai sedili. Dal finestrino vedevo una poliziotta con Leora in braccio che piangeva disperata. ‘Datemela’, li ho scongiurati ma il capo delle guardie mi ha risposto: ‘No, la bambina è nata in Svizzera e deve restare qui’”.

Quando i due si sono opposti a tale posizione, hanno ricevuto altre botte. Qualcosa è cambiato quando il pilota si è rifiutato di partire e la bambina è stata finalmente condotta sull’aereo, affamata e senza la possibilità che i genitori potessero fare qualcosa per lei, poichè legati ed ammanettati.

I due ora hanno chiesto l’asilo in Italia: “L’8 luglio abbiamo l’appuntamento con la commissione. Speriamo di non essere respinti, la cosa più importante è aver ritrovato il sorriso e soprattutto la nostra famiglia”.

Fonte: IlGiornale