La svendita dei nostri gioielli alla Cina? E’ già avvenuta e occorre ringraziare Prodi

 

Francesco Bonazzi per “la Verità”

Il governo di Giuseppe Conte aspetta di prendere la Via della seta e firmare accordi miliardari con il presidente Xi Jinping tra dieci giorni, ma Pechino ha preso la Via della pizza già da 20 anni, e con la benedizione di Romano Prodi e Massimo D’ Alema, per una volta d’ accordo su qualcosa. Come dimostra il ricco business dei porti italiani, a cominciare da quello di Genova, dove un altro prodiano, l’ ex ministro Paolo Costa, ha avuto un ruolo chiave nel portare i cinesi nelle banchine sotto la Lanterna.

Ma più in generale, gli investimenti di Pechino in Italia valgono 18 miliardi di euro, dei quali ben 7 sono stati investiti per ottenere il controllo della Pirelli, senza che nessuno dei politici che oggi rilanciano l’ allarme di Washington sulla penetrazione cinese abbia proferito verbo.

L’ Eliseo

Il leghista genovese Edoardo Rixi, sottosegretario alle Infrastrutture, ieri è stato molto abile parlando con il Corriere della Sera: alla fine dell’ intervista ha detto che noi possiamo fare quello che vogliamo con il presidente cinese, a Roma tra il 21 e il 22 di questo mese, ma quello che non faremo noi con Pechino lo faranno di sicuro i francesi, visto che «due giorni dopo Xi Jinping andrà in visita ufficiale all’ Eliseo» dal nostro grande amico Emmanuel Macron. E del resto, da bravo genovese, Rixi sa perfettamente che i capitali di Pechino hanno fatto comodo e faranno ancora comodo, visto che già oggi il porto di Genova è un hub importante delle merci di Pechino.

Non a caso, nelle pieghe dell’ accordo contestato da Donald Trump, sull’ onda del caso Huawei, c’ è il grande interesse della Cina per completare l’ acquisizione dello scalo ligure e aggiungervi il porto di Trieste.

L’ accordo con la cinese Cccc per il porto di Genova è stato firmato dal presidente Paolo Emilio Signorini, allievo di Paolo Costa, che è stato anche nominato advisor per i rapporti con Pechino dallo stesso Signorini, nonostante la legge Madia vieti di dare incarichi retribuiti ai pensionati della pubblica amministrazione.

Costa voleva sbarcare a Genova già 11 anni fa, ma perse una guerra tutta interna all’ Ulivo a favore della filiera Claudio Burlando-Luigi Merlo. Costa divenne però numero uno del porto di Venezia, città di cui è stato anche sindaco, dopo esser stato per due volte ministro dei Lavori pubblici con Romano Prodi. Costa è anche presidente della Spea, la società di Autostrade che avrebbe dovuto controllare il ponte Morandi: le responsabilità verranno appurate dall’ inchiesta penale in corso.

Ma la Via della seta prossima ventura non passa solo per i porti, come sei secoli fa. E anche in questi ultimi 20 anni ha sempre avuto i suoi profeti, specialmente a sinistra. Se l’ attuale ministro dell’ Economia, Giovanni Tria, non fa mistero della propria infatuazione giovanile per la Cina di Mao Zedong, molto più concretamente Prodi e D’ Alema hanno sempre lavorato per rapporti d’ affari più fluidi sull’ asse Roma-Pechino. Il professore bolognese è stato tra i primi ad avere l’ onore di essere invitato a tenere lezioni alla scuola del Partito comunista cinese e anche a D’ Alema, a partire dalla fine degli anni Novanta, sono sempre stati fatti ponti d’ oro.

Lo stesso vale per Giancarlo Elia Valori, boiardo di Stato passato poi alla corte dei Benetton. E anche il D’ Alema vignaiolo, adesso, vende il suo pinot nero in Cina.

Il fatto è che in questo ventennio di apertura italiana causa mancanza di capitali, sia privati sia pubblici, la Cina ha messo a segno un colpaccio dietro l’ altro, arrivando a quasi 650 imprese italiane partecipate e un giro d’ affari che l’ anno scorso ha toccato i 18 miliardi di euro. Il tutto senza contare i titoli di Stato italiani nel portafoglio di Pechino.

Tra i gioielli della corona cinese spiccano gli elettrodomestici della Candy, l’ alta moda di Krizia e un gruppo di alto livello tecnologico nel biomedicale come Esaote. Del resto, lo storico presidente dell’ associazione Italia Cina è stato da sempre un grande manager come Cesare Romiti, che quando era alla Fiat aveva cominciato a comprare acciaio e componenti da Pechino. E tutti questi ricchi business sono sempre stati portati a compimento senza farsi troppe domande sui diritti civili, sulle esecuzioni di massa o sulle persecuzioni contro i preti cattolici.

Oggi nessuno di coloro che lanciano l’ allarme sulla Cina ricorda che nel 2017 China national chemical si è portata a casa la Pirelli investendo circa 7,3 miliardi, ma avendo l’ astuzia di lasciarne la guida a Marco Tronchetti Provera. Al manager della Bicocca nessun esponente politico ha osato, all’ epoca, obiettare alcunché.

E men che meno i giornaloni che oggi mettono in guardia Conte.

La Germania

E poi non si può dimenticare che in Ansaldo energia ci sono 400 milioni di euro freschi pompati da Shangai electric, mentre China state grid ha comprato il 35% di Cdp reti sborsando 2,8 miliardi ed entrando così, indirettamente, nella filiera di comando di Snam, Italgas e Terna.

L’ operazione su Cdp reti, come settore presidiato, l’ ha fatta il centrosinistra e obiettivamente non è la stessa cosa che vendere una casa di moda. Se invece si vuole inquadrare meglio il contesto europeo degli investimenti cinesi, prima di affermare che l’ Italia rischia di diventare il ventre molle dell’ Eurozona bisogna ricordare che tra il 2008 e il 2018 noi abbiamo ricevuto investimenti cinesi per 15,3 miliardi, ma siamo stati sopravanzati dalla Germania con 22 miliardi e dal Regno Unito con 47 miliardi.

Gli investimenti degli altri saranno tutti rigorosamente in settori non strategici, oppure siamo gli unici polli?