La lettera del malato di tumore “Non si muore solo di Covid”

Non si muore solo di Covid. C’è chi soffre per altre patologie che quest’anno sembrano essere passate in secondo piano. Eppure c’è chi continua a lottare contro il male oscuro.

Se è già difficile in tempi normali, pensate quanto sia difficile nel bel mezzo di una pandemia, con le terapie intensive e sub intensive ormai sovraccariche di pazienti.

E con la riconversione degli ospedali in covid hospital, anche i reparti normali vengono trasformati nel giro di una notte in nuovi spazi per accogliere i pazienti che giungono in condizioni critiche.

Non è facile questa battaglia, non è facile attaccarsi alla vita per non morire. Ecco perché il signor Salvatore Alcide dal suo letto di ospedale, magari voltando lo sguardo fuori dalla finestra nelle lunghe attese che rendono le giornate tutte uguali, ha pensato di scrivere una lettera, di imprimere con le parole il proprio stato d’animo e lo ha fatto con una lunga missiva che mi è arrivata quasi per caso.

Non si muore solo di Covid ci spiega questo signore, perché la lotta ai tumori non è stata spazzata via dal coronavirus.

“Sono un uomo fortunato, fortunato perché mi è stata data la speranza di una nuova vita, migliore di quella precedente – scrive -. Ma prima di esserlo ho dovuto combattere contro una bruttissima malattia al fegato, Il cancro”.

Nel suo racconto il signor Salvatore racconta l’inizio della sua battaglia circa un anno e mezzo fa. “Da quel momento cominciai a vedere le cose sotto una prospettiva differente. Il mio primo sostegno oltre ai familiari ed amici, sono stati i medici dell’Ismett (il centro di eccellenza per la lotta ai tumori di Palermo, ndr), i quali mi hanno sottoposto inizialmente a due trattamenti, riguardanti l’arteria della gamba.

Ma la malattia continuava a svilupparsi e cominciava a prevalere sempre di più in me, invadendo anche i vasi sanguini dell’organo. Mi erano stati dati pochi mesi di vita ed inoltre non vi era neanche la speranza di un trapianto”.

La lettera del signor Salvatore, 53 anni una moglie e due figli prosegue. “Una malattia così grande non me la potevo consentire – racconta -.

I medici dell’Ismett subito dopo, mi hanno inviato all’Ospedale Cervello di Palermo, perché lì, soltanto lì, in Sicilia occidentale, sarebbe stato possibile provare una cura innovativa che forse avrebbe potuto distruggere in buona parte il tumore e quindi permettere il trapianto.

La cura si chiama radioembolizzazione o Tare, come viene chiamata dai medici, un’iniezione di sostanze radioattive all’interno del tumore con una semplice iniezione dall’arteria della gamba.

Sono quindi stato visitato dai medici del servizio di oncologia epatica del reparto di medicina dell’ospedale Cervello, il dottor Roberto Virdone, il dottor Giorgio Fusco e due altre meravigliose dottoresse, la dottoressa Maria Rosa Barcellona e la dottoressa Maria Grazia Bavetta”.

Li cita i medici che lo hanno seguito e curato, così come ricorda la professionalità, l’umiltà e la disponibilità di chi deve fronteggiare su più fronti.

“Mi hanno visitato e ricoverato più volte, nonostante il periodo del lockdown finalizzato a combattere un’altra realtà che oggi ci appartiene, quella del Covid-19.

Sono stati loro a darmi la speranza di potere essere trattato e proprio così è stato. La Tare è stata ripetuta più volte, perché la bestia (lo chiamo così) non voleva morire”.

Nel suo racconto il paziente ricostruisce i mesi più difficili tra la riabilitazione e le cure necessarie per affrontare al meglio la lunga malattia.”Nonostante i risultati non erano inizialmente efficaci, il mio obiettivo era quello di non avere più la malattia con me – prosegue -.

I dolori, i sacrifici e le cure, sono state tante, ma senza di essi non sarei arrivato a questo punto. La cura ha permesso di ridurre le zone colpite dal nemico, e finalmente di essere inserito di nuovo in lista per il trapianto dell’organo.

Trapianto che per quanto urgente potesse essere, prima di arrivare a farlo effettivamente ho dovuto sostenere diverse volte ‘l’ebrezza’ di arrivare al punto di arrivo, ma senza ottenere nessuna vittoria. Alla fine ce l’abbiamo fatta.

Dico ce l’abbiamo perché nella cura contro il cancro è importantissima la volontà, il coraggio e la forza del paziente. Proprio una decina di giorni fa ho sostenuto il trapianto e adesso sono qui che vi scrivo dal mio letto di ospedale (l’Ismett).

Ho un nuovo fegato, ma in particolare ho avuto la speranza di vivere una nuova vita, che sicuramente prenderà una svolta diversa da quella che prima di questo momento aveva”.

“Avrei voluto fare questi ringraziamenti dopo la dimissione (sperata) dall’Ismett, ma ho letto della chiusura del reparto di Medicina dell’Ospedale Cervello”.

La chiusura è stata assunta dai vertici aziendali degli ospedali riuniti Villa Sofia-Cervello, di concerto con l’assessorato alla Salute, per fronteggiare le esigenze assistenziali legate all’emergenza Covid-19.

Una decisione che ha portato nel giro di qualche giorno alla chiusura di numerosi ospedali e che di fatto ha creato grande rammarico per una situazione che impone una riflessione.

“Bisogna capire che un uomo quando si ritrova in tali situazioni, non riesce a vivere la sua vita, perché è appesa ad un filo di speranza dove lui si impegna con tutte le sue forze a non mollare, trovandosi come unico punto di riferimento i medici che si occupano di lui, e senza queste figure oltre a ritrovarsi in lotta contro se stesso, contro la malattia ed il tempo è anche privo di qualsiasi speranza per continuare a vivere.

Spero che queste persone trovino il modo per poter riaprire il reparto, e dare ai pazienti la forza per non smettere di lottare e vincere la battaglia contro cui combattono”.

Infine un augurio che potrebbe in un certo senso essere rivolto a tutti gli ospedali italiani, perché riconvertire una struttura ospedaliera pone il problema di porre pazienti di serie A con pazienti di serie B .

“Mi auguro con tutto il cuore per me e per tutti i pazienti con il cancro al fegato, seguiti all’Ospedale Cervello, che si possano rapidamente trovare delle soluzioni che permettano il proseguimento di questa importante attività.

Da oggi sarò un Salvatore con un fegato diverso, ma avrò sicuramente più voglia di continuare a vivere e di godermi ciò che la vita mi ha permesso di continuare ad avere”.